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14 Luglio 2025 16:00

Dazi sul Made in Italy: dalla minaccia all’impatto. Cosa succede da agosto ai prodotti italiani

Il conto alla rovescia è iniziato: i nuovi dazi USA colpiscono il cuore dell’enogastronomia italiana. Tra diplomazia, proteste e strategie incerte, il Made in Italy cerca di difendere i suoi sapori più iconici.

A cura di Francesca Fiore
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Il conto alla rovescia è iniziato: dal 1° agosto 2025, gli Stati Uniti imporranno dazi del 30% su una vasta gamma di prodotti provenienti dall’Unione Europea e dal Messico. Una misura che rischia di colpire in pieno il cuore dell’enogastronomia italiana. La minaccia di una "tassazione aggressiva" da parte del presidente degli Stati Uniti ormai è ricorrente – è ormai da tempo che il Made in Italy agroalimentare si trova nel mirino di politiche protezionistiche d’Oltreoceano – ma in questo caso le dimensioni della manovra sono tali da preoccupare produttori, consorzi, istituzioni e operatori del settore.

Vini, formaggi, salumi: i prodotti più colpiti

Tra i prodotti italiani più esposti ai nuovi dazi americani ci sono alcune delle eccellenze che più rappresentano la nostra cultura a tavola. Il Parmigiano reggiano Dop, con il suo lungo processo di stagionatura e il rigoroso disciplinare di produzione, è da sempre uno dei simboli dell’alta qualità italiana. Negli Stati Uniti è considerato un prodotto gourmet, spesso venduto in negozi specializzati o consumato nei ristoranti di fascia alta. Con un rincaro del 30%, rischia però di diventare un lusso per pochi, lasciando spazio a surrogati meno autentici come il celebre parmesan.

Stesso destino potrebbe toccare al Prosciutto di Parma e al San Daniele, icone della salumeria italiana: le tecniche artigianali, la lunga stagionatura e il legame con il territorio li rendono unici, ma anche costosi. Se penalizzati da dazi, potrebbero essere sostituiti da prodotti locali che imitano sapori e forme, ma che nulla hanno a che vedere con la qualità originale.

Non se la passano meglio i nostri vini, in particolare il Prosecco, che negli ultimi anni ha conquistato il mercato americano grazie alla sua freschezza, alla versatilità negli abbinamenti e a un buon rapporto qualità/prezzo. Un aumento del prezzo finale potrebbe spingere molti consumatori verso alternative californiane, che già oggi sfruttano denominazioni evocative come "CalSecco". Anche l’olio extravergine d’oliva, elemento fondamentale della dieta mediterranea, rischia di perdere terreno: considerato un prodotto salutare e naturale, è sempre più apprezzato negli Stati Uniti, ma il balzo dei costi potrebbe frenare la crescita del segmento premium.

Infine, la pasta italiana, soprattutto quella artigianale o prodotta con grani selezionati, potrebbe subire un duro colpo: nonostante esistano alternative americane, la pasta italiana resta un punto di riferimento per qualità e tradizione. Ma se il prezzo lievita troppo, anche questo pilastro rischia di vacilla.

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Esportazioni alle stelle… ma solo per ora

Nei primi mesi del 2025, le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti hanno registrato un boom: +11% rispetto al 2024. Ma non si tratta di una crescita fisiologica. Molti distributori e importatori statunitensi hanno infatti anticipato gli acquisti per evitare l’aumento dei prezzi dovuto ai dazi in arrivo. "È un effetto tampone – aveva spiegato Coldiretti – ma da agosto ci sarà una brusca frenata se non si troverà un accordo". Il rischio concreto è che le vendite calino drasticamente e che i produttori italiani perdano quote di mercato difficilmente recuperabili.

Reazioni italiane: tra diplomazia, allarmi e strategie

Di fronte a una minaccia economica annunciata da mesi, la reazione italiana appare tanto comprensibile quanto, per certi versi, tardiva. Mentre gli Stati Uniti procedono spediti verso l’introduzione di dazi del 30% su molti prodotti europei – con un impatto diretto su eccellenze del Made in Italy – l’Italia si è affidata, come spesso accade, a una doppia strategia: da un lato la diplomazia, dall’altro l’allarme mediatico.

Il governo, nella persona del ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha avviato colloqui con Bruxelles e con l’amministrazione americana, proponendo l’ormai ricorrente formula del “dazi zero per tutti”. Una posizione di buon senso, certo, ma che sembra più dettata dalla necessità di mantenere aperti i canali di dialogo che da una reale capacità negoziale. Al momento, infatti, non si intravedono segnali concreti di apertura da parte degli Stati Uniti, e l’Unione Europea stessa – già impegnata su più fronti commerciali – appare prudente nel prendere misure forti.

Più decisa, ma anche più prevedibile, la posizione delle associazioni di categoria. Coldiretti, da sempre in prima linea quando si parla di minacce esterne al settore agroalimentare, ha denunciato “un attacco deliberato al Made in Italy”, chiedendo l’intervento immediato della Commissione Europea e una “mappa del rischio” per le filiere più esposte. Tuttavia, dietro i toni accesi, le soluzioni proposte restano ancorate a strumenti tradizionali: fondi straordinari, ristori, promozione nei mercati esteri.

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Più articolata la posizione della CIA – Agricoltori Italiani, che oltre ai classici aiuti invoca un piano straordinario di riconversione logistica e produttiva per rendere meno vulnerabile l’export italiano. In alcune sedi territoriali della Confederazione sono state addirittura avanzate ipotesi drastiche: da un’etichettatura obbligatoria nei supermercati USA per distinguere l’autentico Made in Italy dai prodotti italian sounding, fino a una sospensione temporanea dell’export per alcuni prodotti di punta, come forma di pressione simbolica sul mercato statunitense. Misure più dimostrative che risolutive, ma che danno il senso della frustrazione accumulata.

Ancora più critica la voce di alcune associazioni di piccoli produttori e consorzi minori, che accusano le istituzioni di “aver visto arrivare il treno e non aver alzato la paletta”. Secondo loro, l’Italia avrebbe potuto mobilitarsi mesi fa con campagne mirate negli USA per sensibilizzare i consumatori americani, o spingere per un fronte comune europeo più solido.

In questo contesto, la posizione di Confindustria appare ambigua: ufficialmente a favore del dialogo, ma poco presente nel dibattito pubblico. Alcuni osservatori suggeriscono che, pur evitando scontri, l’associazione stia preparando un’azione più silenziosa ma incisiva di lobbying diretto negli USA, appoggiandosi a think tank e studi legali per difendere i propri interessi industriali.

La sensazione generale è che, a pochi giorni dalla scadenza di agosto, l’Italia si trovi ancora a rincorrere gli eventi, senza una strategia unitaria e con molte risposte affidate alla speranza di una distensione che – al momento – sembra tutto fuorché certa.

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