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9 Luglio 2025 9:00

Da clandestino a chef amato di Milano: la storia di Juan Lema e della sua Trattoria Mirta

Juan Lema, fuggito dall’Uruguay, è arrivato in Italia da clandestino. Con dedizione, sacrificio e impegno nel 2007 ha aperto Trattoria Mirta e l'ha resa un punto fermo della ristorazione milanese.

A cura di Enrico Esente
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Quando si parla di realizzare i propri sogni, specialmente in un settore come quello della ristorazione e in un paese differente da quello natale, le possibilità di successo diventano solitamente molto basse. Una percentuale che non solo non ha spaventato Juan Lema ma lo ha reso ancora più caparbio di affrontare le difficoltà per riuscire a trovare il proprio posto nel mondo. 

In fuga da Montevideo (Uruguay), con la sua Trattoria Mirta, punto di riferimento nel quartiere Casoretto, Juan Lema è tra i cuochi più conosciuti e apprezzati di Milano, stimato da tantissimi colleghi ed esponenti dell'alta cucina che caratterizza il Capoluogo lombardo.

La strada per il successo è stata difficile e lo chef ci ha raccontato tutte le tappe che lo hanno portato a sentirsi realizzato in Italia, da sempre il Paese dei suoi sogni. In un'epoca in cui tutto sembra correre troppo veloce, il ristorante di Lema è un rifugio, un luogo in cui ogni piatto racconta di coraggio, sacrificio e amore. Oggi ci occuperemo della meravigliosa storia di questo chef.

Un sogno iniziato oltre trent'anni fa

Nel 1990, mentre l'Italia si vestiva a festa per ospitare i Mondiali di calcio, a Milano sbarcava Juan Lema: con sé un biglietto di sola andata e un bagaglio invisibile fatto di sogni e fame di riscatto. Quando lo chef è arrivato nel nostro Paese allora non aveva la benché minima idea di cosa volesse dire lavorare nella ristorazione e, oltre a tutto questo, non era nemmeno legalmente un cittadino italiano, ma un clandestino. "Venire in Italia per vedere le partite del Mondiale era solo una scusa – racconta Lema – in realtà stavo scappando da una situazione familiare difficile e da un Paese piegato in due dalla crisi post-dittatura". Lo chef si riferisce al colpo di Stato in Uruguay durato 12 anni (1973-1985) in cui l'allora presidente della Repubblica Juan Maria Bordaberry sciolse il parlamento con l'obiettivo di affidare il potere a una giunta militare: venne considerato un auto-golpe e, al termine di questo, le condizioni economiche in cui versava l'Uruguay erano terribili.

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Juan Lema – foto di Stefano Corrada

"Volevo solo lavorare, fare sul serio, mettermi alla prova e dimostrare il mio valore – racconta lo chef con voce ferma – non cercavo scorciatoie ma un modo per ricominciare. A Milano ho vissuto quattro lunghi anni come clandestino. Non c'era nessuna protezione, nessuna certezza ma solo la mia forza di volontà e un quartiere che mi ha accolto come una vera e propria famiglia e che mi ha aiutato tanto, soprattutto nelle piccole cose".

Lema spiega che le sue giornate erano scandite solo dal lavoro e dalla voglia di emergere. Il cuoco uruguayano infatti racconta di essersi avvicinato alla professione direttamente in Italia dove ha iniziato proprio dai ristoranti del vicinato. A Montevideo lavorava come agente portuale ma, in realtà, la cucina ce l'aveva nel sangue grazie a una passione ereditata dalla madre Mirta (a cui ha dedicato la trattoria nel milanese).

"Casa mia era come una locanda domestica senza insegna – racconta emozionato Juan – Mia mamma ospitava tutti gli operai dell'azienda di famiglia e cucinava degli ottimi piatti per loro. Tutto quel calore mi è rimasto dentro". L'italiano poi lo ha imparato in fretta e ci ha spiegato che quando si desidera così fortemente una cosa, anche una lingua straniera diventa un ponte piuttosto che un ostacolo. È proprio su quel ponte che lo chef ha trovato l'amore. Sua moglie Cristina Borgherini era un'educatrice in una comunità di minori dove, nei rari giorni liberi, Juan si recava a cucinare per i bambini. "Non potevo fare a meno di mettermi ai fornelli – racconta – anche il lunedì che era il mio unico giorno libero". Dopo essersi sposato, nel 2001 Lema è diventato ufficialmente un cittadino italiano.

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L'incontro con lo chef che gli ha cambiato la vita e la visione in cucina

"Se devo citare il nome di uno chef che mi ha insegnato tutto quello che so sulla cucina? Dico Antonio Ietto – racconta – prima ho imparato da autodidatta e poi lui mi ha preso sotto la sua ala nel ristorante stellato a Mondovì. Lavorare insieme a Ietto mi ha fatto cambiare filosofia in cucina, ritengo che abbia una marcia in più e mi ha ispirato a far sempre meglio. Lì ho capito che la cucina non è solo tecnica ma anche filosofia, etica e rispetto e, soprattutto, che stare dietro ai fornelli era il mio posto". 

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Prima di aprire il suo locale, Juan Lema era stato lo chef del Pont de Fer di Maida Mercuri. È qui che Lema portò in Italia il suo connazionale Matias Perdomo oggi chef del ristorante stellato Contraste, sempre a Milano. Dopo anni di sacrifici, insieme alla moglie Cristina, Juan Lema nel 2007 decide di aprire Trattoria Mirta, in omaggio alla mamma, sua prima fonte di ispirazione.

"Ottenere la Stella Michelin non è un mio obiettivo"

Lema ci ha raccontato che Trattoria Mirta è tra i locali più apprezzati nella città della Madonnina non per il marketing, né tanto meno per i social (che allora erano agli albori). "Ciò che ci ha fatto diventare apprezzati è stato il passaparola della gente, quello sincero e fatto da chi si siede a tavola e riconosce l'eccellenza nei dettagli", racconta lo chef.

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"La mia cucina è tipicamente italiana, più tendente alle regioni settentrionali – spiega – facciamo tutto in casa dalla pasta, alla panificazione fino ai dolci. Usiamo prodotti di stagione e di alto livello. La contaminazione con la gastronomia uruguayana c'è ma resta sullo sfondo, come una nota lontana. La mia brigata è composta da tre persone di diverse nazionalità alle quali si è aggiunto, per questo periodo, anche mio figlio Pablo. Loro non sono per me solo collaboratori ma persone con le quali condivido i valori: per me il vero segreto del successo è la forza del gruppo". Chef Lema confessa di non essere alla ricerca di Stelle Michelin o interessato alle guide gastronomiche. "Il mio traguardo è quello di svegliarmi al mattino e pensare di preparare buon cibo per chi si siederà a mangiare nel mio ristorante. Non voglio sgomitare con gli altri per un riconoscimento, vivo già nel Paese dei miei sogni e sarò per sempre grato all'Italia".

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Trentacinque anni dopo quel volo verso Milano, Lema è riuscito a passare dall'essere "invisibile" a diventare un punto di riferimento per la cucina milanese autentica. La sua storia non è soltanto una favola gastronomica ma un racconto che serve a motivare che le passioni vanno coltivate e che è solamente grazie all'impegno e alla resilienza che si può emergere. 

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Quello che i piatti non dicono
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