16 Dicembre 2022 15:00

Cos’è l’hakarl, lo squalo putrefatto che in Islanda è una specialità

In Islanda uno degli alimenti più noti è lo squalo putrefatto. Le carni, nauseabonde, vengono confezionate in barattoli ermetici e solo i più coraggiosi (e duri di stomaco) riescono a mangiarle. Come si ottiene l'hakarl.

A cura di Alessandro Creta
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Putrefatto, marcio, dall’olezzo insopportabile e dalla consistenza gommosa. Sembra qualcosa uscito da un film horror con protagonisti gli zombie ma in verità non è niente di più reale. In Islanda infatti è una specialità locale, una prelibatezza (ma in questo caso manteniamo il beneficio del dubbio) che a Reykjavik e dintorni è un must (o quasi) quantomeno per i turisti (quelli più coraggiosi) che arrivano in zona. Lo squalo putrefatto, in lingua locale detto hakarl (per l’appunto, squalo fermentato), è uno degli alimenti più controversi che ci siano in circolazione. Puzzolente e putrido, per mangiarlo è necessario uno stomaco forte e probabilmente un naso ancor più d’acciaio per non cadere vittime dell’olezzo sprigionato.

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Ma come viene realizzato lo squalo putrefatto? Come si ottiene l’hakarl? Dopo la cattura la carne dell’animale viene tradizionalmente sotterrata per un periodo che va dai tre ai sei mesi (un po’ come l’uovo centenario cinese) fino a quando non raggiungerà l’ottimale stato di putrefazione. Per capire se la maturazione, chiamiamola così, sia completa la carne di squalo dovrà risultare dalla consistenza gommosa, marcia, sprigionando sentori (nauseabondi, afferma chi l’ha provato) di ammoniaca. Pare in verità come molti islandesi dopo una prima estrema esperienza si rifiutino categoricamente di assaggiarlo, altri invece non l’hanno nemmeno mai sfiorato. L’hakarl negli anni è diventata una sorta di sfida per i turisti in viaggio sull’isola, ma non tutti riescono a portare a compimento la missione.

Perché la carne di squalo si fermenta?

C’è un motivo ben preciso, in realtà, per cui la carne di squalo viene sottoposta a un periodo di fermentazione. Questa, infatti, non può essere mangiata fresca in quanto tossica e velenosa. L’animale infatti espelle le urine direttamente attraverso il suo corpo (praticamente le suda), per questo la carne si impregna di acido urico, eliminabile solo attraverso un processo di fermentazione.

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E gli islandesi hanno trovato la soluzione giusta: lasciar marcire sotto terra, in apposite fosse di sabbia e ghiaia, la carne, che in questo modo va a perdere gli acidi di cui si era riempita schiacciata dal peso sovrastante. Questa metodologia oggi è stata sostituita da una più moderna: i tagli dello squalo (privato della testa e delle interiora) vengono lasciati per mesi in appositi ambienti, sottovuoto e pressati fino a quando non perdono i liquidi velenosi.

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Una volta concluso il periodo della fermentazione la carne viene estratta, tagliata e appesa a essiccare per alcuni mesi in luoghi aerati e al riparo dalla luce del sole. Terminata pure questa fase la polpa viene separata dalla pelle più scura e poi è fatta a cubetti, conservati in appositi barattoli ermetici a causa del potente olezzo. Chi ha il coraggio di aprirne una confezione si ritroverà di fronte una ventata nauseabonda di ammoniaca, poi dei pezzettini di carne marcia da mangiare con lo stuzzicadenti (tappandosi il naso) e mandar giù con del brennivin, una potente acquavite islandese.

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Quello che i piatti non dicono
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