
C’è una bevanda che accomuna tutti i paesi dei Balcani: non fa differenza se ti trovi in Croazia o in Albania, in Serbia o in Montenegro, ovunque sarai verrai accolto con un bicchierino rakija per darti il benvenuto. Sulla carta di tratta di un distillato alla frutta tipico di quest’area e molto diffuso ma all’atto pratico è molto di più, è una vera e propria bevanda simbolo, forte di una lunga tradizione artigianale e casalinga (pur esistendo anche una produzione industriale), qualcosa a cui tutti gli abitanti dei Balcani guardano con orgoglio.
Non c’è regione, villaggio, casa e famiglia dei Balcani in cui non sia sempre pronta almeno una bottiglia di rakija per dare il benvenuto agli ospiti, ma anche per accompagnare i pasti e per segnare il ritmo dei giorni e delle stagioni, preparata rigorosamente a mano dai “majstor rakije”, i maestri artigiani che custodiscono gelosamente i segreti tramandati da generazioni per preparare la rakija perfetta. E non è tutto: gli anziani continuano a sostenere che la rakija abbia anche poteri curativi a livello fisico e spirituale, tanto che è la bevanda tradizionale dei funerali, in grado di riconnettere i vivi con le anime dei loro cari defunti.
Protagonista anche di un festival tutto suo, l’annuale Rakia & Spirit Fest che si tiene a Sofia (Bulgaria), la rakija è più di una bevanda: è il sunto dello spirito dei Balcani, è lo spirito di questi luoghi ricchi di leggende, di un territorio pieno di storia e antiche tradizioni. Scopriamo insieme l’affascinante storia e i tutti miti legati alla rakija dei Balcani.
Che cos’è la rakija
La rakija è un distillato tipico dei paesi Balcani, nello specifico un’acquavite a base di frutta, nella maggior parte dei casi si tratta di prugne, ma si trova anche di uva, pere, fichi, ciliegie e tantissime altre tipologie di frutti a seconda dell’area di produzione: l’importante è che la materia prima venga prima fermentata e poi distillata. Stabilire una ricetta fissa per la rakija è praticamente impossibile, perché la maggior parte della produzione avviene a livello casalingo e ogni famiglia custodisce la sua personalissima ricetta.
Esistono però dei punti in comune che si ritrovano in tutte le varianti: la frutta deve essere prima fermentata per qualche settimana, poi deve essere cotta per 2 – 3 e ore in grandi caldaie di rame e infine il composto fermentato si porta a ebollizione. Durante l’ebollizione i vapori alcolici, raffreddandosi nel passaggio all’alambicco, cambiano di stato e si trasformano in questa preziosa ed evocativa bevanda. A causa di questo particolare processo di distillazione doppio, la rakija tradizionale è molto alcolica: di solito si aggira attorno ai 40 gradi, ma raggiunge anche gli 80 gradi nella produzione casalinga.

La rakija deve avere un sapore fresco e fruttato, motivo per cui si dice che “non fa legno”, ovvero non necessita di essere stata affinata in botti di legno, che invece darebbero alla bevanda le note aromatiche tipiche di questo processo; è comunque concesso l’affinamento, soltanto in botti di quercia o di gelso, così come è concessa l’aggiunta di erbe dopo la distillazione. Tipica di Albania, Croazia, Serbia, Bulgaria e di tutti i Balcani fino al Montenegro e alla Macedonia del Nord, la rakija cambia da zona a zona proprio perché ognuno usa un tipo di frutta diverso, ognuno sceglie se raffinare o no il distillato e insaporirlo o no con ulteriori ingredienti, non solo erbe ma anche altri aromi come miele o noci per modificarne e personalizzarne il sapore.
In generale la rakija più classica è la šljivovica, ovvero l’acquavite di prugne, tra cui si distingue particolarmente la rakija di Gledic, regione serba da sempre rinomata per la qualità delle sue prugne, usate soprattutto per la produzione della famosa acquavite. Tra le altre varianti più note di rakija spiccano la viljamovka (di pere Williams), la jabukovača (di mele), l’orahovac (di noci) e il višnjevac (di amarene).
La storia della rakija e le leggende che la accompagnano
Risalire alle origini e ricostruire una vera e propria storia della rakija è molto difficile proprio per via della sua natura fortemente artigianale, che rende le fonti storiche riguardo alla sua produzione molto scarse. Le prime notizie scritte sull’arte di estrarre l’essenza dei frutti sono attestate intorno al VII secolo in un trattato dell’alchimista Abu Beckr Mohamed Ibn-Zàkariaya el-Rhazi e la sua diffusione in Occidente è legata al periodo dell‘Impero Ottomano, ma solitamente per stabilire la nascita del distillato dei Balcani si fa riferimento all’epoca in cui inizia a circolare la parola “rakija”: sembra provenire dal termine arabo “al-rak”, che indica il trasudare, lo stillare, ed entra nelle lingue dei popoli slavi meridionali e in quelle dei vicini albanesi già nel periodo tra il declinare del XIV secolo e gli albori del XV.
Questo dettaglio linguistico ha avvalorato per molto tempo le due ipotesi più diffuse riguardo all’origine della rakija, ovvero che fosse nata nel tardo XIV secolo o in pieno XVI. Alcuni ritrovamento archeologici scoperti tra il 2011 e il 2015, però, hanno spinto gli storici a mettere in discussione questa teoria: sono stati trovati nell’antica fortezza di Lyutitsa, nell’estremo sud della Bulgaria, due frammenti riconducibili a un sistema di distillazione, e gli stessi tipi di oggetti sono emersi anche dagli scavi nella fortezza medioevale di Drastar molto più a nord. Tutti e tre i ritrovamenti sono stati identificati come risalenti all’XI secolo, facendo dunque ipotizzare che la distillazione, e probabilmente la preparazione della rakija, siano molto più antichi di quanto ritenuto in precedenza, e che la sua patria originaria potrebbe essere proprio la Bulgaria.

Come tutti i prodotti tradizionali così antichi e radicati nel tessuto sociale, anche la rakija è accompagnata dalla sua dose di leggende e credenze che le hanno attribuito i poteri più vari nel corso dei secoli. Secondo i racconti tramandati nella regione balcanica, in passato la rakija era ritenuta frutto delle dottrine esoteriche dei maestri alchimisti, motivo per cui allo “spirito del fuoco” (uno dei suoi molti soprannomi) venivano attribuiti poteri taumaturgici. La medicina tradizionale dei Balcani ha a lungo ritenuto la rakija in grado di curare tutti i mali, e a lungo è stata usata nelle terapie medico-sanitarie dei guaritori locali come anestetico, antisettico e antidepressivo, da usare però con moderazione: secondo le credenze popolari, infatti, un uso smodato ed eccessivo della rakija potrebbe risvegliare i suoi demoni più malvagi. Sotto questa luce la rakija appare quasi come una bevanda sacra, non a caso senza un sorso di questo distillato non c’è accordo sancito: nei Balcani, quando si stringe un patto, non è la firma a renderlo effettivo ma una tenace stretta di mano guardandosi negli occhi e un sorso di rakija consumato insieme.
La tradizione dei Balcani vuole anche che senza la rakija non si celebrino né matrimoni né sepolture: la bevanda, infatti, ha anche un consumo fortemente rituale, legato sia alla celebrazione della vita che alla celebrazione della morte. Durante i matrimoni è usanza che il padre dello sposo offra bicchierini di rakija agli ospiti per propiziare la felicità dei novelli marito e moglie, anche se è durante i funerali che il distillato assume la sua funzione più rituale.

Nel caso delle commemorazioni funebri la rakija diventa uno strumento di connessione tra i vivi e la persona defunta, ma per estensione anche con i propri antenati: brindare con la rakija durante un funerale è un modo per onorare la memoria della persona che è venuta a mancare, ma anche per celebrare la vita e i momenti felici che si sono vissuti e per rafforzare i legami tra i viventi, offrendo supporto e conforto in un momento di lutto. Inoltre, nel corso dei funerali, si usa versare un po' di rakija per terra prima di berla, come gesto di rispetto e onore verso il defunto e tutti gli spiriti degli antenati defunti nel corso del tempo, ma anche per placarli e mantenerli benevoli verso i vivi.
Come si beve la rakija
Una bevanda tanto tradizionale come la rakija non può che avere una serie di “regole” tradizionali che ne accompagnano il consumo. Anche in questo caso il modo in cui si serve e beve l’acquavite varia a seconda del paese in cui ti trovi, ma in linea di massima tutti concordano su una regola non scritta: più è vecchia, più è buona. Generalmente nei locali la rakija viene proposta come aperitivo, in bicchieri piccoli da 0.3 a 0.5 dl ("shottini"), liscia e a temperatura ambiente, spesso accompagnata da antipasti misti come salumi e formaggi; è abbastanza frequente trovarla anche calda durante l’inverno, addolcita con miele o zucchero, e refrigerata in estate.

A livello familiare, invece, brindare con un bicchierino di rakija è un atto di ospitalità e di generosità che il padrone di casa compie nei confronti dell’ospite, motivo per cui ogni casa deve sempre essere fornita di acquavite, possibilmente prodotta in proprio con la frutta dei frutteti di proprietà. Anche la preparazione della rakija è una sorta di rito famigliare da celebrare rigorosamente in buona compagnia, infatti per assaggiare le prime gocce di acquavite pronta è usanza invitare amici, parenti e vicini di casa.