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27 Novembre 2025 12:18

Cortina 2026, l’altra faccia delle Olimpiadi invernali: rifugi chiusi e una montagna in attesa di risposte

Tra chiusure previste, zone rosse e comunicazioni frammentarie, i rifugi più vicini alle gare di Milano - Cortina rischiano di perdere l’alta stagione. Le voci degli operatori locali raccontano una montagna che teme di restare ai margini della festa olimpica.

A cura di Francesca Fiore
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Le Olimpiadi invernali di Milano -Cortina 2026 dovevano essere la grande festa della montagna italiana, una vetrina mondiale capace di raccontare paesaggi, tradizioni e, dal nostro punto di vista, la cultura gastronomica che vive nei rifugi, nelle cucine alte, nelle stagioni che si rinnovano anno dopo anno. Invece, per molti operatori della zona più coinvolta nei Giochi, quelle settimane rischiano di trasformarsi in un periodo di chiusure forzate, incertezze e perdite economiche proprio nel cuore dell’alta stagione. Le aree delle Tofane, epicentro delle gare, sono destinate a diventare zone off-limits per gran parte del pubblico, con conseguenze dirette sui rifugi che in quel momento avrebbero la massima affluenza.

In mezzo a comunicazioni incomplete, provvedimenti ancora non pienamente chiariti e un crescente malumore degli operatori locali, la narrazione ufficiale dell’evento, che dovrebbe essere un volano per tutto il territorio, appare oggi più sfumata, e in alcuni casi contraddetta dalla realtà.

La “zona rossa” delle Tofane e il paradosso dell’alta stagione

Il nodo centrale è la cosiddetta zona rossa che interesserà l’area delle Tofane, dove si disputeranno le gare di sci alpino femminile: si tratta del versante più celebre del comprensorio sciistico di Cortina d’Ampezzo, nelle Dolomiti bellunesi, noto per le sue piste storiche e per ospitare regolarmente gare di Coppa del Mondo. Per garantire sicurezza e logistica, la chiusura progressiva di piste e impianti è prevista a partire da gennaio 2026, come anticipato dagli operatori degli impianti nelle comunicazioni ai gestori dei rifugi. Questo comporterà limitazioni severe all’accesso, con transiti regolati da permessi dedicati e l’impossibilità, per il pubblico, di raggiungere i rifugi situati lungo i tracciati durante i lavori e poi nel periodo dei Giochi.

Formalmente nessuna norma impone la chiusura dei locali, ma la combinazione di piste chiuse, zone riservate e assenza di flussi turistici rende l’attività impraticabile. È uno di quei casi in cui, anche senza un divieto scritto, lavorare diventa semplicemente impossibile.

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L’altra metà della montagna: chi resta aperto e perché il problema è sistemico

Non tutta l’area sciistica è coinvolta allo stesso modo. Le zone non direttamente collegate alle gare resteranno aperte e alcuni rifugi potranno continuare a lavorare. Anche le comunicazioni ufficiali degli impianti sottolineano che solo una porzione del comprensorio ricade nella zona olimpica.

Questo però non cambia la sostanza: chi si trova nella parte più iconica e frequentata delle montagne ampezzane rischia di vedere la stagione ridursi drasticamente. Per la gastronomia di montagna, fatta tendenzialmente di filiere corte, personale stagionale e tradizioni radicate, anche una sola stagione “monca” può lasciare segni profondi. La montagna vive di equilibrio: se una parte rilevante del sistema si ferma, tutto il resto ne risente.

Le voci dei rifugisti: tra frustrazione e richiesta di trasparenza

È soprattutto qui che emergono le testimonianze più dure. Testate locali come Il Dolomiti hanno raccolto il malcontento dei rifugisti della zona Tofane, che lamentano un vuoto informativo fatto di comunicazioni spesso non ufficializzate e incertezze su viabilità, accessi e tempi di chiusura.

Senza certezze, spiegano, è impossibile programmare approvvigionamenti, turni, forniture o investimenti per la stagione. Anche Radio Belluno ha dato voce a queste preoccupazioni, riportando timori legati alla mancanza di calendari definiti e alla difficoltà di programmare la stagione invernale con settimane di anticipo.

Le richieste degli operatori non puntano a deroghe o privilegi, ma a una cosa molto più semplice: trasparenza. Sapere quando si potrà aprire, se si potrà aprire e chi sosterrà le perdite in caso contrario. In un territorio che vive di cicli stagionali stretti, settimane di incertezza possono cambiare tutto. E in questo caso le settimane sono state molte, rendendo la frustrazione ancora più comprensibile.

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Il caso del rifugio legato al compagno della ministra: un sintomo più che una storia a sé

Tra le vicende che hanno alimentato discussioni c’è quella del ristorante El Camineto, riconducibile al compagno della ministra del Turismo Daniela Santanché. Alcune ricostruzioni giornalistiche, in primis Il Fatto Quotidiano che ha sollevato il problema, lo indicano come uno dei pochi locali che potrebbero rimanere operativi nell’area Tofane perché destinato, secondo queste fonti, a ospitare staff e delegazioni internazionali.

La ministra ha negato qualsiasi coinvolgimento e definito la questione irrilevante, ma la vicenda ha comunque acceso i riflettori sul tema delle possibili asimmetrie fra operatori. Più che una storia a sé, è un sintomo: quando molte attività rischiano chiusure o limitazioni, qualsiasi eccezione – reale o percepita – diventa immediatamente oggetto di discussione pubblica. E lascia emergere la sensazione che l’impatto dei Giochi non sarà uguale per tutti.

L’eredità dei Giochi e il costo invisibile per chi vive di ospitalità

L’eredità dei Giochi dovrebbe essere fatta di infrastrutture migliori, visibilità internazionale e nuove opportunità turistiche. Ma per molti rifugi e ristoratori della zona olimpica l’eredità rischia di assumere un altro volto: quello della stagione più importante sacrificata, della mancanza di chiarezza e della sensazione di essere stati considerati marginali rispetto alle esigenze dello spettacolo globale.

In montagna la gastronomia non è un semplice servizio: è cultura materiale, memoria, comunità: quando un grande evento internazionale arriva senza un piano di tutela delle attività che compongono questa identità, il rischio è che la festa finisca per escludere proprio chi quella montagna la rende viva ogni giorno.

Milano – Cortina 2026 sarà senza dubbio uno spettacolo, ma un evento che punta a valorizzare la montagna non può permettersi di ignorare le sue economie quotidiane. Rifugi, cucine, piccole imprese e filiere locali non sono comparse: sono la sostanza della montagna italiana. Ascoltare le loro voci, garantire trasparenza e trovare soluzioni condivise non è solo una questione di equità verso chi lavora in quota, ma una condizione essenziale per raccontare al mondo una montagna autentica, viva e realmente accogliente.

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