
Se bastasse stappare una bottiglia per farci diventare esperti, saremmo tutti sommelier e pure agronomi. E invece, nel variegato mondo del vino, basta pronunciare parole come biodinamico, biologico, naturale, o vegano, per far scattare dubbi esistenziali e accese discussioni da banco di enoteca.
Al di là delle reali motivazioni che hanno portato negli ultimi anni all’exploit di certe tipologie di produzione (sarà dettato da un reale interesse per la sostenibilità, o dal desiderio innato dell’uomo di cavalcare mode e trend per incrementare i profitti?) è necessario fare chiarezza. C’è chi usa questi termini in maniera intercambiabile e chi, invece, si perde tra certificazioni, fasi lunari e lieviti indigeni, rischiando l’emicrania prima ancora del primo sorso.
Innanzitutto: biologico, biodinamico, naturale e vegano non sono sinonimi. Presentano invece differenze importanti: dal modo in cui l’uva viene coltivata, poi trasformata in vino, fino ai punti vendita in cui le bottiglie possono essere acquistate.
Oggi vediamo quali sono le principali differenze tra vino biodinamico, biologico e naturale con un pit-stop nel mondo dei vini vegani. Mettiti comodo: conoscere la differenza tra queste tipologie di produzione renderà il tuo brindisi ancora più consapevole.
Vino biologico: regolamentazione e norme produttive
Un vino biologico deve rispettare precisi dettami per potersi definire tale legalmente. Queste regole sono contenute in un disciplinare dedicato, ovvero il Reg. UE 2018/848: questo regolamento definisce il sistema di produzione, trasformazione, etichettatura, controllo e certificazione all’interno dell'Unione Europea.
In sostanza, il disciplinare spiega cosa è vietato e cosa è permesso, sia in vigna sia in cantina. L’idea di fondo è semplice: il vino biologico deve subire il minor numero possibile di manipolazioni. I punti cardine del regolamento sono i seguenti:
- Esclusione di sostanze chimiche di sintesi: sono vietati erbicidi, insetticidi e fungicidi chimici di sintesi; possono essere invece utilizzati rame, zolfo, estratti vegetali, feromoni, ecc.
- Difesa fitosanitaria “naturale”: vengono privilegiate tecniche agronomiche (potatura, sfogliatura, gestione del suolo) per prevenire malattie.
- Limitato uso di fertilizzanti: sono ammessi solo concimi organici, compost, letami, sovesci (colture interrate per arricchire il terreno).
- Trattamenti enologici regolamentati: in cantina vigono regole precise, che vedono un utilizzo limitato di additivi, e meno interventi tecnologici rispetto al convenzionale.
- Limitato uso di solfiti: 100 mg per litro per vini rossi e 150 mg litro per bianchi e rosati.
Parliamo di una certificazione abbastanza mainstream: non è raro ormai trovare vini biologici ovunque, dal supermercato, al ristorante, all’enoteca di quartiere.

Vino biodinamico: una visione olistica dell’agricoltura
Ben diverso è il discorso per il vino biodinamico: non una semplice metodologia produttiva, bensì una visione olistica dell’agricoltura, dove suolo, piante e ambiente vengono considerati un unico organismo vivente. Anche in questo caso, esistono vari enti certificatori: un vino biodinamico deve sottostare a dettami e norme ben precise per poter inserire il termine “biodinamico” e il rispettivo logo in retroetichetta:
- Utilizzare preparati biodinamici: vengono utilizzati specifici preparati naturali (es. cornoletame, cornosilice, tisane) diluiti e dinamizzati (agitazione ritmica in acqua). Lo scopo ultimo è stimolare la vitalità del terreno e delle piante.
- Seguire il calendario lunare e planetario: le principali operazioni in vigna (potatura, trattamenti, vendemmia) vengono svolte in date precise, in base alle fasi lunari e ai movimenti planetari.
- Porre grande attenzione alla fertilità del suolo: tutte le pratiche puntano a mantenere e incrementare la vitalità microbica, la biodiversità e la sostanza organica.
- Ridurre al minimo l’utilizzo di solfiti e l’interventismo in cantina: spesso i produttori biodinamici scelgono vinificazioni naturali.
Il filosofo austriaco Rudolf Steiner è considerato il padre di questa filosofia produttiva. Pur non essendo scientificamente provata, la biodinamica ha molti seguaci nel mondo, anche tra i grandi nomi: basta pensare al Domaine de la Romanée-Conti, che produce alcuni dei vini più costosi e desiderati del pianeta.
Sebbene questa filosofia produttiva sia probabilmente meno diffusa della certificazione biologica, vini biodinamici possono essere trovati in enoteche specializzate e in ristoranti che si fregiano di proporre solo prodotti “naturali”.
So cosa ti stai chiedendo: non abbiamo appena detto che questi termini non sono intercambiabili? Ci arriviamo tra un attimo.

Vino naturale: il termine ombrello che può voler dire tutto… e niente
Ti sarà capitato di sentire dire che un vino biodinamico è anche “naturale”. Ma perché? Perché la parola “naturale”, dal punto di vista legale, non significa nulla di preciso. Infatti, in questo caso, non esiste un disciplinare ufficiale né regole prestabilite che stabiliscano esattamente cosa voglia dire produrre un vino naturale.
Di conseguenza, non esiste nemmeno un ente certificatore che possa effettivamente riconoscere una cantina come produttrice di vino naturale, a livello legale. Tendenzialmente, un vino naturale è frutto di pratiche più o meno condivise dai viticoltori che si sono autoproclamati parte di questa cerchia:
- Minimi interventi in vigna e in cantina.
- Utilizzo di lieviti indigeni: sono evitati i lieviti commerciali, in favore di quelli che si trovano naturalmente in vigna.
- Fermentazioni spontanee.
- Assenza di chiarifica e filtrazione: non di rado infatti, i vini naturali presentano un deposito sul fondo della bottiglia.
Specifichiamo che, non avendo un disciplinare di riferimento, queste tecniche sono le più diffuse, ma non sono vincolanti: un produttore potrebbe scegliere di adottarne una, come due, come nessuna.
I vini naturali si trovano soprattutto nelle enoteche specializzate. Nei supermercati o nei ristoranti sono più rari, a meno che il locale non sia dedicato proprio a questo tipo di prodotti.

Vino vegano: la certificazione apripista per i mercati esteri
E i vini vegani? Magari ti stai chiedendo: che cosa c’entrano gli animali con la produzione di vino? In realtà, molto più di quanto immagini.
In maniera del tutto controintuitiva, sia in vigna sia in cantina, possono essere utilizzati dei prodotti di origine animale. Qualche esempio? In cantina, in fase di chiarifica, vengono spesso utilizzate:
- albumina d’uovo: una proteina dell’uovo;
- caseina: che invece è derivata dal latte;
- gelatina: ottenuta da ossa o cartilagini animali;
- colla di pesce (isinglass): ottenuta da vesciche natatorie di pesci
In alternativa, il produttore che volesse creare un vino vegano, potrebbe utilizzare:
- bentonite (argilla naturale);
- proteine vegetali (pisello, patata, frumento);
- carbone vegetale;
- silice colloidale.
E in vigna? Molti produttori di vino vegano preferiscono non utilizzare concimi di origine animale, come letame o corni, favorendo concimi vegetali. In questo caso, come per biologico e biodinamico, esistono certificazioni specifiche (es. VeganOK, V-Label) che attestano l’assenza di prodotti animali e controllano il processo produttivo.
Un vino vegano può quindi provenire da vigneti coltivati in modo tradizionale, biologico o biodinamico, a patto che il vino non entri in contatto con prodotti di origine animale in cantina. Sono vini rari da trovare: non perché non esistano, ma perché sono pochi i produttori che investono nella certificazione. Sono facilmente acquistabili in Nord Europa – dove l’attenzione verso questa tipologia di alimentazione è più diffusa – come, per esempio, in Scandinavia.