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14 Novembre 2023 13:23

Come ha fatto l’anguria a diventare un simbolo della Palestina? La storia di questo legame

Il legame più evidente sta nei colori: la bandiera palestinese e il frutto hanno lo stesso pattern. I collegamenti sono più profondi e antichi di quanto immaginiamo.

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Non esiste un collegamento ufficiale tra l'anguria e la Palestina come simbolo nazionale o culturale eppure da anni si associa questo delizioso frutto alla nazione medio orientale. Ma da dove arriva questa strana unione? La connessione più immediata è cromatica. I colori della bandiera palestinese sono gli stessi dell’anguria: rosso, nero, bianco e verde. Una particolare coincidenza che ha portato negli anni ad aggirare alcuni regolamenti di censura per omaggiare la Palestina: artisti di tutto il mondo hanno disegnato o fotografato angurie per mostrare il proprio sostegno alla Palestina per l'occupazione di Gaza e della Cisgiordania. In questi giorni è quantomai attuale questa connessione, cerchiamo di saperne di più.

Cosa c'entra un'anguria con la Palestina?

Questo simbolo che sembra sbucato fuori per caso in questi giorni in realtà ha origini molto antiche. Secondo l'opinione comune sarebbe addirittura nato nel 1967: alcuni attivisti palestinesi avrebbero trasportato delle fette di anguria a Gaza e in Cisgiordania per aggirare il divieto di esporre la bandiera palestinese nella regione. All'epoca era considerato un crimine penale, passabile d'arresto.

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Non siamo certi che questa protesta sia reale perché le prove a sostegno di questa ipotesi sono un po' frammentarie così facciamo risalire questa protesta, ufficialmente, al 1980. Come racconta l'artista Sliman Mansour al The National, il governo israeliano negli anni non si è limitato solo a reprimere la bandiera palestinese, ha attuato dei veri e propri boicottaggi. Nell'80 Mansour presenta una mostra d'arte con altri importanti colleghi come Nabil Anani e Issam Badrl alla 79 Gallery di Ramallah, sede dell'International Academy of Art Palestine (IAAP): arriva di fretta e furia la polizia e chiude tutta la struttura, poche ore dopo l'apertura. Il motivo? "Ci hanno detto che era vietato dipingere la bandiera palestinese, erano vietati anche i colori". Badrl prova a ipotizzare, trattando con i funzionari, la realizzazione di un quadro con un fiore rosso, verde, nero e bianco ma l'ufficiale di polizia lo minaccia di confisca, aggiungendo "anche se disegni un'anguria la confischiamo". L'idea in realtà piace agli artisti e sarebbe stato paradossale perfino per il governo israeliano vietare la rappresentazione di un frutto esistente, così fino al 1993 l'anguria diventa protagonista dei dipinti e delle illustrazioni degli attivisti di tutto il mondo.

Nel '93 le cose cambiano, migliorano un po', perché grazie agli accordi di Oslo c'è il riconoscimento reciproco da parte di Israele e dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina con la conseguente revoca del divieto sulla bandiera palestinese. È un periodo di grande fiducia perché per la prima volta, dopo decenni di guerre civili, ci sono accordi formali per cercare di risolvere il conflitto israelo-palestinese. La bandiera è accettata come rappresentante dell'Autorità Palestinese, che avrebbe amministrato Gaza e la Cisgiordania: via l'anguria quindi. Il New York Times del tempo, con la prestigiosa firma di un giornalista che ha fatto la storia in America come John Kifner, racconta proprio questo strano passaggio di testimone: "Nella Striscia di Gaza, dove una volta alcuni giovani furono arrestati perché trasportavano angurie affettate – mostrando così i colori palestinesi rosso, nero e verde – i soldati stanno a guardare, indifferenti, mentre i cortei marciano sventolando la bandiera un tempo vietata".

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Tutto questo lo sappiamo perché l'artista Khaled Hourani nel 2007, subito dopo la Seconda Intifada, ha scritto un "Atlante soggettivo della Palestina" da cui ha estratto "La storia dell'anguria". Grazie a lui è tornato in auge questo simbolo perché nel 2013 ha fatto una stampa e l'ha chiamata "I colori della bandiera palestinese" pur rappresentando una semplice fetta di anguria disegnata. La sua fetta di anguria dipinta gira mezzo mondo: Scozia, Francia, Algeria, Giordania, Libano, Cina ed Egitto tra le altre nazioni.

Questo simbolo vive di cicli e, pur diventando virale 10 anni fa, si è poi di nuovo perso grazie ai periodi di pace. L’uso dell’anguria come simbolo è ritornato forte nel 2021, in seguito a una sentenza del tribunale israeliano secondo cui le famiglie palestinesi con sede nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme, sarebbero state sfrattate dalle loro case per far posto ai coloni.

Visto che ormai l'anguria si è sdoganata, vari artisti hanno creato nuovi simboli: Sami Boukhari usa i fichi d'India perché prima del 1948 fungevano da confine naturale che separava le diverse proprietà fondiarie nelle zone agricole.  Il '48 non è un anno casuale: il 14 maggio 1948 è il giorno della proclamazione dello Stato di Israele, dopo la decisione dell'Onu di costituire uno stato ebraico e uno stato arabo per provare a risolvere i conflitti interni della Palestina.

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Foto da instagram

"Durante la Nakba del 1948, le città furono gravemente danneggiate e 532 villaggi palestinesi furono distrutti fino alle fondamenta, per impedire il ritorno degli abitanti. Ancora oggi è vietato loro tornare in patria. Erano stati definiti da Israele come “presenti assenti” in modo che le loro proprietà potessero essere confiscate dal nuovo Stato. Anche i palestinesi che sono rimasti dopo la guerra sono stati sfollati con la forza dalle loro case, la terra e le proprietà furono depredate, la popolazione originaria espulsa, ma i confini tracciati dai fichi d’India sono sopravvissuti fino ad oggi" scrive su Instagram. Nel 2021 l'anguria è stata invece sostituita dai pomodori a causa di un'assurda legge di Israele: il governo obbliga i contadini palestinesi che lavorano nella Striscia di Gaza a rimuovere il picciolo, la parte verde della pianta, prima di inviare i frutti ai mercati tramite il valico di Karm Abu Salem. Lo fanno un po' perché i colori ricordano la bandiera palestinese, un po' per danneggiare l'economia: i pomodori senza "stelo" hanno una vita più breve.

L'anguria oggi durante il nuovo conflitto

Oggi è cambiato tutto e l'anguria è tornata in auge ma sotto altre vesti: negli ultimi giorni su piattaforme come TikTok e X stanno spopolando angurie sotto forma di hashtag o di emojii, in relazione alla guerra in Palestina. Basta fare un giro sui social e vedrai che ogni post che parla della guerra ha delle emoji tristi, delle bandiere e delle angurie.

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Il problema di oggi non riguarda regole oppressive del governo israeliano ma forse qualcosa di ancor più inquietante: Meta, l'azienda madre di Instagram, Facebook e Whatsapp tra le altre, penalizza i post che contengono parole come Hamas, Palestina, Gaza, #freepalestine mostrandoli a meno persone possibile. Una censura dimostrata da più parti che costringe pagine social o semplici giornali a trovare metodi alternativi per evitare il ban: si chiama "algospeak", un linguaggio in cui al posto delle parole si usano immagini, simboli e/o numeri per indicare argomenti o per confondere l'algoritmo sulle parole usate. Questo vale per tutti, non solo per le pagine schierate dall'una o dall'altra parte: anche solo raccontare il conflitto nella maniera più asettica possibile porta alla penalizzazione.

Sui social oltre all'hashtag c'è un account molto seguito, @watermelonmovement aperto nel 2021, che porta avanti la battaglia di "liberazione, giustizia e uguaglianza" per la Palestina. Molto lodevole l'iniziativa della tiktoker Jourdan Louise: ha creato un filtro (che è stato usato oltre 4 milioni di volte), i cui profitti verranno devoluti tutti in beneficenza agli enti che aiutano i cittadini di Gaza sotto assedio.

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