
Immagina il porto di Genova: gru immobili, container impilati, il via vai dei mezzi che si interrompe davanti a dieci cassoni rimasti lì, fermi. Dentro non ci sono merci commerciali, ma pacchi preparati a mano: pasta, riso, tonno, legumi, zucchero, biscotti, miele, marmellata. Trecento tonnellate di aiuti raccolti in una settimana da migliaia di cittadini, grazie all’ONG Music for Peace e al Collettivo autonomo lavoratori portuali. Dovevano partire per Gaza e arrivare a Gaza combatte con la scarsità quotidiana e con una situazione senza precedenti. Invece sono rimasti fermi, prigionieri di una disputa burocratica che sembra scritta da un romanziere dell’assurdo: a quanto pare, biscotti e marmellata sarebbero “troppo energetici” per passare.
Non sappiamo ancora se la notizia sia del tutto confermata e le fonti giornalistiche riportano versioni diverse: alcune attribuiscono l’ordine alla Jordan Hashemite Charity Organization (JHCO), altre segnalano il coinvolgimento di COGAT, l’ente israeliano che gestisce l’ingresso degli aiuti a Gaza, mentre altri ancora parlano della Farnesina italiana come interlocutore della trattativa.
Eppure, questi aiuti sono fermi lì, e la loro inattività racconta già da sola l’assurdità della vicenda: tonnellate di cibo raccolto con generosità che restano intrappolate tra container e carte burocratiche, come se la fame potesse essere sospesa in attesa di una firma. È una scena che sfida il senso comune e apre la riflessione: in un mondo in cui anche un biscotto può diventare oggetto di negoziazione politica, quanto vale davvero il gesto della solidarietà?
La richiesta "irricevibile" di escludere i prodotti
Secondo quanto riferito dagli attivisti di Music for Peace, la Jordan Hashemite Charity Organization (JHCO) – incaricata di far transitare gli aiuti via terra – avrebbe chiesto, insieme al ministero degli Esteri italiano, di eliminare dai pacchi tutti i prodotti con zuccheri e amidi.
Non solo: anche lo smaltimento degli alimenti esclusi e i costi di trasporto sarebbero stati a carico dell’associazione, circa 1.800 euro per camion. Una condizione definita "irricevibile" e che ha bloccato la trattativa. Così, i pacchi pensati per sfamare famiglie palestinesi restano fermi a Genova, trasformati in un simbolo di stallo burocratico.
Il paradosso degli alimenti vietati
Non è la prima volta che Israele impone restrizioni sul cibo destinato a Gaza. Nel tempo sono stati respinti carichi di datteri, perché giudicati un “cibo di lusso”, o patate, considerate troppo facilmente accumulabili. Ma la richiesta di togliere biscotti e miele colpisce in modo particolare: non parliamo di prodotti di lusso, né di beni con usi militari possibili. Sono cibi semplici, capaci di fornire calorie rapide e conforto psicologico in un contesto di fame diffusa. Se fosse tutto confermato, sarebbe un paradosso crudele: proprio ciò che serve di più diventa ciò che non può passare.
Tra diplomazia e fame
La vicenda mette in luce quanto il cibo sia ormai materia di politica internazionale. Nel groviglio di trattative che coinvolge Farnesina, JHCO e COGAT, non è chiaro chi abbia scritto nero su bianco questa direttiva. Quello che è chiaro, però, è l’effetto concreto: i biscotti restano nei container, mentre a Gaza le famiglie continuano a lottare con la scarsità quotidiana. È qui che la questione trascende la logistica e diventa politica: se il pane e lo zucchero diventano strumenti di negoziazione, significa che il cibo non è più solo nutrimento, ma arma.

L’altra faccia del dono
Intanto, pare che parte delle derrate non spedite a Gaza finirà in Sudan, dove Music for Peace ha progetti di sostegno alimentare, o verrà distribuita a famiglie e senza dimora di Genova. Una parabola che sembra chiudersi in cerchio: il cibo donato con uno slancio collettivo, bloccato dalla politica, trova comunque strade per sfamare. Ma resta una domanda sospesa: cosa racconta questa storia sul valore del cibo oggi? Forse che, nel mondo contemporaneo, anche un pacco di biscotti può essere più esplosivo di una dichiarazione diplomatica.

Lasciare Gaza senza cibo è un crimine di guerra
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, le restrizioni israeliane sugli aiuti umanitari a Gaza potrebbero costituire un crimine di guerra, poiché contribuiscono a livelli di fame tra i peggiori mai registrati secondo gli attuali sistemi di classificazione.
La situazione alimentare nella Striscia ha raggiunto livelli catastrofici: oltre mezzo milione di persone sono intrappolate in una condizione di fame acuta, caratterizzata da denutrizione, miseria e decessi evitabili. La crisi è aggravata dalla chiusura del corridoio umanitario di Zikim il 12 settembre 2025, che ha interrotto metà delle consegne di cibo del World Food Programme, costringendo alla riduzione drastica delle distribuzioni quotidiane di pasti gratuiti, passate da 155.000 a 59.000 in un mese.
In questo contesto, la solidarietà internazionale appare impotente: tonnellate di aiuti umanitari, tra cui biscotti e miele destinati a sfamare le famiglie palestinesi, restano bloccate nei porti italiani, simbolo di un sistema che non riesce a rispondere alla fame con la stessa urgenza con cui risponde alla guerra.