Tra le sostanze che possono contaminare gli alimenti, l'arsenico è una tra le più monitorate: in Italia non c'è un allarme per la sua presenza nel riso, ma non così per paesi in cui quest'ultimo è il cibo alla base della dieta di adulti e bambini.
La sicurezza alimentare è un tema sempre più all’ordine del giorno che, negli ultimi tempi, ha visto crescere la sua importanza in quanto sono le stesse attività antropiche una delle cause principali (se non la maggiore) della contaminazione del cibo che mangiamo. Non fa eccezione il riso che, forse non tutti immaginano, è l’alimento più consumato al mondo: si tratta di un cereale particolarmente suscettibile all’inquinamento da arsenico, un metalloide che sta destando preoccupazione per le conseguenze di una sua eccessiva assunzione da parte di adulti e bambini, in particolare in quei paesi, soprattutto asiatici, dove il riso si consuma ogni giorno, non solo base della dieta, ma anche dell’economia. Di recente, è stata la Commissione Europea a chiedere all’Efsa, l’autorità di riferimento per la sicurezza alimentare, di revisionare i suoi studi sull’impatto dell’arsenico nel cibo (che risalivano al 2009), per dare nuovi pareri sui rischi di questo “nemico invisibile” già incluso dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) nel gruppo 1, ovvero tra le sostanze con forti evidenze di cancerogenicità.
L'arsenico è un elemento che si trova ampiamente distribuito nel terreno e nelle rocce, ma può essere anche rilasciato nell'ambiente attraverso scarti dell'industria e l'uso di fertilizzanti e pesticidi: di recente, uno studio pubblicato nel 2021 sul Science of The Total Environment ha puntato i riflettori anche sul cambiamento climatico, mettendo in correlazione le sempre più alte temperature con l’innalzamento di questo semi-metallo nel suolo. L’arsenico esiste in diverse forme, ma è quella inorganica su cui in questi anni si è concentrata l’attenzione: quando viene ingerita può accumularsi nel corpo e causare una serie di problemi di salute, tra cui diversi tipi di cancro (come quello della pelle, dei polmoni e della vescica), diabete, malattie cardiovascolari e problemi neurologici, coinvolgendo pure il feto.
I sintomi derivati dalla sua assunzione a lungo termine non si manifestano in modo inequivocabile come quelli di un’intossicazione acuta (vomito, diarrea, dolore addominale, perfino morte, come nelle spy story), rendendo difficile identificare l'origine del problema. A subire la maggiore contaminazione da arsenico è l’acqua di superficie e delle falde, sia quella potabile (quindi usata anche per cucinare), sia quella utilizzata nelle coltivazioni: da qui è facile intuire come il riso, che cresce in terreni allagati e viene cotto immerso nell’acqua, sia uno dei cibi che ne contiene quantità che a lungo andare si rivelerebbero dannose per l’uomo.
Indipendentemente dalla fonte da cui arriva (acqua, cereali o vegetali) nel corpo umano l’arsenico, l’Efsa, citandola testualmente, “ha stabilito un punto di riferimento pari a 0,06 mg/kg di peso corporeo al giorno, sulla base di uno studio caso-controllo sul tumore della pelle. Si tratta di una stima prudenziale della dose più bassa associabile a un aumento dell'induzione del tumore della pelle a seguito di esposizione all’arsenico inorganico. Un limite che protegge anche dagli altri effetti nocivi sulla salute umana”. Per quanto riguarda l’acqua potabile, a mettere i paletti è l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS): la concentrazione non deve superare i 10 microgrammi per litro. Sulla questione è intervenuta anche la Commissione Europea, che con il recente regolamento UE 2023/465 del 3 marzo 2023 ha fornito le seguenti coordinate sull’arsenico inorganico tollerato nel riso e nei suoi derivati.
Nello stesso testo, viene specificato che: “i forti consumatori di riso in Europa, quali determinati gruppi etnici, e i bambini di età inferiore a tre anni sono i più soggetti all’esposizione alimentare all’arsenico inorganico. L'esposizione alimentare all’arsenico inorganico dei bambini di età inferiore a tre anni, anche da alimenti a base di riso, è stata stimata a circa 2-3 volte quella degli adulti”.
C’è da dire che la situazione del riso italiano non dà segnali di allarme, e che l’Ente Nazionali Risi sta svolgendo sempre maggiori controlli per monitorare la presenza di contaminanti inorganici come arsenico e cadmio, anche a fronte dei parametri europei appena visti. Non tutte le tipologie di riso (per risotti o altri piatti) sono soggette in ugual modo a questa sostanza: è più presente in quello integrale rispetto al riso bianco, perché resta nella crusca e nel germe, e nelle varietà a grano corto (tipo il chicco da sushi) se paragonate al basmati o jasmine, a grano lungo. Inoltre, il riso coltivato in regioni con elevati livelli di arsenico nelle acque sotterranee, come parti del Bangladesh, India e Stati Uniti meridionali, è più destinato ad averne in quantità maggiori. Da questo punto di vista, non è una sicurezza affidarsi alle produzioni biologiche, dato che l’acqua può essere contaminata a monte.
Come può comportarsi il consumatore? Per l’Harvard T.H. Chan School of Public Health si rivela efficace variare il più possibile la dieta, scegliendo cereali o pseudo tali che hanno meno arsenico, come frumento, amaranto, bulgur, miglio e quinoa. Per ridurlo nel riso integrale del 50%, invece, suggerisce di lavarlo, cuocerlo in acqua extra (6-10 tazze rispetto a 1 di riso), scolarlo e poi risciacquare ancora una volta: il “guaio” è che così facendo andranno persi alcuni valori nutrizionali, come vitamine del gruppo B idrosolubili. A fornire una soluzione che riesce a preservare i micronutrienti è l’Università di Sheffield, nel Regno Unito, dove il dott. Manoj Menon e il suo team testano da anni riso e cotture. Il risultato? Nel 2020 mettono a punto il BPA (parboiling with absorption method), dove si sbollenta il riso con acqua pre-bollita per cinque minuti, si scola e si completa la cottura a fuoco basso cambiando l’acqua e usandone una quantità che possa essere completamente assorbita. Così il 50% dell’arsenico se ne va dal riso integrale, mentre restano i principi nutritivi, e il 74% da quello bianco.
Nel 2024, invece, conducono degli esperimenti su tre diversi tipi di riso (bianco, parboiled e integrale), provando la tecnica BPA e quella più classica, bollito in acqua abbondante, introducendo anche acque con diversi livelli di arsenico (0,2 mg, 10 mg e 15 mg per litro). Nell’acqua poco inquinata la BPA è ottima nel riso raffinato e in quello integrale, mentre per il parboiled funziona meglio la bollitura tradizionale: si toglie il 50% di arsenico inorganico. Nell’acqua contaminata, si registra in tutti i casi un forte aumento del veleno, anche del 1000%. Per questo, importanti provvedimenti sarebbero da prendere proprio sui controlli relativi all’acqua destinata all’uso umano: l’OMS denuncia che più di 140 milioni di persone in almeno 70 paesi abbiano bevuto acqua contenente arsenico a livelli superiori dei 10mg/l consentiti, con il Bangladesh che, purtroppo, si è conquistato da diverso tempo il triste primato di protagonista del più grande avvelenamento di arsenico della storia, con 43.000 individui che ogni anno muoiono per danni legati a questo “killer” nell’alimentazione.