
Un nuovo rapporto presentato da Greenpeace Italia segnala la presenza di acido trifluoroacetico (TFA) in sei campioni di acqua minerale. L'associazione ambientalista ha analizzato 16 bottiglie, riconducibili a 8 diversi marchi, trovando in ben 12 di esse tracce di PFAS, sostanze usate nei processi industriali e molto dannose per la salute, chiamate anche inquinanti eterni. Ma vediamo bene cosa è stato rilevato.
I valori della contaminazione: cosa dice il rapporto
Per condurre l'indagine, Greenpeace ha acquistato, negli scorsi mesi, sedici bottiglie di acqua minerale in un supermercato di Roma: i prodotti appartenevano ai marchi più diffusi in Italia, ossia Ferrarelle, San Pellegrino, Levissima, Panna, Rocchetta, Sant'Anna, San Benedetto e Uliveto. Una volta raccolti i campioni, questi sono stati inviati in due laboratori indipendenti – otto in Germania e otto in Italia – per testare proprio l'eventuale presenza di PFAS. Il risultato è stato tutt'altro che incoraggiante: su otto marchi analizzati, in sei – quindi in 12 bottiglie – è stato rilevato il TFA (unico PFAS trovato nei campioni).
A essere salve sono la San Benedetto Naturale e la Ferrarelle – in cui le concentrazioni di queste sostanze erano sotto la soglia rilevabile 50 ng/l – mentre Uliveto, Rocchetta, Sant'Anna, San Pellegrino, Panna e Levissima sono state classificate come contaminate: il valore più alto di acido trifluoroacetico è stato rilevato proprio in queste ultime due con, rispettivamente, 700 ng/l e 570 ng/l.

TFA e PFAS: cosa sono?
La notizia di certo non è confortante e lo è ancora meno per l'utilizzo di nomi scientifici e sigle indecifrabili, quindi cerchiamo di fare un po' di chiarezza. I PFAS sono sostanze poli- e per-fluoroalchiliche: si tratta di composti chimici utilizzati in molti processi industriali e che non sono particolarmente amici della nostra salute. Tra di loro figura il già menzionato TFA, acronimo di acido trifluoroacetico, il più famoso PFAS al mondo: la sua presenza nell'acqua non è così inaspettata, dato che è una sostanza che trovata addirittura nella polvere domestica e nel sangue umano.
Come gli altri composti appartenenti ai PFAS, il TFA non si degrada con il tempo e tende a spostarsi e ad accumularsi facilmente nell'ambiente. Per questo motivo è stato classificato come "tossico per la riproduzione" e "mobile e persistente": in altre parole può interferire con la fertilità e, una volta rilasciato nell'ambiente, si diffonde con facilità in acque e terreni. Di recente, però, le Autorità tedesche hanno chiesto all'ECHA (Agenzia europea per le sostanze chimiche) di riconoscere il TFA come una sostanza tossica. Come ha raccontato a Il Fatto Quotidiano, Alessandro Giannì, responsabile delle Relazioni Istituzionali e Scientifiche di Greenpeace Italia, "se l’Echa approverà la richiesta, il TFA potrebbe essere classificato come ‘metabolita rilevante‘ delle sostanze attive nei prodotti fitosanitari" e quindi il limite consentito nell'acqua potabile, in tutti i Paesi europei, sarà di massimo 100 nanogrammi al litro.
Il problema della contaminazione dell'acqua, tuttavia, non riguarda soltanto noi: infatti, i valori di TFA rinvenuti dalle analisi condotte da Greenpeace (tra 70 e 700 ng/l) sono in linea con quelli ottenuti da altre indagini svolte su campioni europei, anche se con valori leggermente inferiori (tra 370 e 3.300 ng/l).