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17 Ottobre 2025 11:00

Zucchine e pomodori che compri d’inverno comportano tutto questo: cos’è il “Mar de Plastico”

Dietro il “mare di plastica” di Almería si nasconde il costo reale dei nostri ortaggi comprati anche fuori stagione: sfruttamento dei lavoratori, inquinamento da microplastiche e silenzi istituzionali. Una situazione che non tutti conoscono, vediamo di cosa si tratta.

A cura di Enrico Esente
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Le serre di El Ejido

Sarà sicuramente capitato anche a te di mettere nel carrello zucchine, pomodori o altri ortaggi fuori stagione. Ti sei mai chiesto com'è possibile che costino così poco e com'è possibile che siano presenti nei supermercati per tutto l'anno? La risposta te la dà Google Maps. Basta che ingrandisci la zona della Spagna e ti posizioni sull'Andalusia, a sud-est di Granada troverai una vera e propria protuberanza bianca. Praticamente l'unica opera fatta dall'uomo visibile dal satellite: stiamo parlando delle serre di Almeria, meglio conosciute come "El Mar de Plástico Mare di Plastica", nient'altro che uno degli agglomerati di serre più grande al mondo. È da lì che il Paese iberico esporta frutta e verdura in tutta Europa: Germania, Regno Unito, Paesi Bassi e anche Italia (in minor parte) sono i territori che acquistano maggiormente e, infatti, gran parte dei prodotti ortofrutticoli che compriamo, provengono tutti quella zona.

Cosa si nasconde dietro il "Mar de Plástico"

Quando parliamo del Mar de Plastico, ci riferiamo a un "ecomostro" di oltre 45 mila ettari di serre. Si chiama così perché i teloni di plastica avvolgono interi campi producendo quello che gli esperti chiamano "effetto albedo". In sostanza, coprendo le serre,  il clima rimane costante considerando che, in una regione come l'Andalusia, le temperature sono aride e le precipitazioni scarseggiano. Le città con la più alta concentrazione di serre includono El Ejido, Roquetas de Mar e San Isidro de Níjar, tutte in provincia di Almeria.

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Il "Mar de Plastico" è una distesa di serre, che costituiscono uno dei più grandi sistemi agroindustriali al mondo. Da questa zona arrivano pomodori, peperoni, zucchine e frutta che troviamo nei supermercati anche durante i mesi freddi. La plastica, che avvolge interi campi, è un simbolo dell’efficienza produttiva in un ambiente arido. Ma se guardiamo più da vicino, scopriamo che l’immensa rete di serre non è solo una meraviglia tecnologica, ma anche un luogo di forti disuguaglianze sociali e gravi danni ambientali.

La prima emergenza riguarda l'acqua: in una regione notoriamente arida come l'Andalusia, le serre di Almeria consumano enormi quantità di risorse idriche sotterranee, prosciugando le falde, causando intrusioni saline e perdita di habitat naturali. Alcuni media spagnoli polemizzano molto sull'eccessivo sfruttamento di alcuni acquiferi, su tutti quello di Níjar. Sono circa due decenni che la qualità dell'acqua e gli ecosistemi sono messi a rischio.

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Il secondo grave contraccolpo del Mar de Plastico è proprio la plastica: ogni anno vengono prodotti più di 30 mila tonnellate di rifiuti plastici e, di questi, il 15% non viene riciclato. I teli danneggiati, inoltre, rilasciano microplastiche che contaminano suolo e mare, compromettono la vita della fauna marina e liberano sostanze tossiche nell'ecosistema.

Gli esperti parlano di un sistema al limite: efficiente nel garantire verdure tutto l’anno, ma insostenibile nel lungo periodo se non si interviene su gestione idrica, riciclo dei materiali e tutela ambientale. Senza un cambio di modello, il “mare di plastica” rischia di trasformarsi in un disastro ecologico permanente. L'inquinamento provocato e l'impatto ecologico delle serre (consumo di suolo, rifiuti, perdita di biodiversità) sono note da anni: bisognerebbe approvare piani nazionali di smaltimento e riciclo, che a quanto pare, non esistono o sono poco efficienti.

Sono diversi gli studi in merito alla questione dove alcuni ricercatori stanno lavorando duramente per cambiare una situazione ormai diventata insostenibile. Questi ultimi hanno individuato sei sfide chiave per trasformare il settore in qualcosa di più ecologico: uso efficiente dell’acqua, conservazione della biodiversità, economia circolare nel riciclo dei materiali agricoli, trasferimento tecnologico, responsabilità condivisa e valorizzazione dell’identità territoriale

Grave sfruttamento di risorse e persone

Oltre a tutto ciò che abbiamo raccontato, va segnalato anche che la manodopera che c'è dietro la produzione di ortaggi, è costituita da lavoratori immigrati: questi vivono in vere e proprie baraccopoli senza diritti o tutele e le loro condizioni di lavoro sono estremamente dure. Salari bassissimi (circa 5 euro all'ora), orari interminabili (con soli 30 minuti di pausa a fronte di 10/12 ore lavorative), esposizione a pesticidi e temperature insopportabili. Molti di loro, purtroppo, non hanno altra scelta se non quella di subire il sistema.

In un video-documentario, pubblicato su YouTube da Nova Lectio, c'è un'intervista a un'associazione del posto chiamata La Resistencia: qui, chi prova quotidianamente a cambiare la  situazione, racconta come non si riesca a fermare lo sfruttamento. Nonostante diversi tentativi di pressione sulle aziende, la condizione di lavoro (e di vita) di chi ogni giorno si prodiga in queste mansioni, sembra impossibile da migliorare.

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Un recente rapporto del Servicio Jesuita a Migrantes (SJM Almería)intitolato "La infravivienda invisibilizada" documenta che, nella zona di Nijar da sola, sono state identificate più di 470 abitazioni precarie tra baracche e abitazioni di fortuna. Qui ci vivono 1400 persone, tra cui 275 minori sotto i 14 anni. In queste baraccopoli spesso manca l'acqua potabile, l'elettricità è intermittente e le condizioni igieniche sono quasi inesistenti. In un'intervista al elDiario.es, uno degli abitanti ha dichiarato che le condizioni sono pietose e vivere lì è quasi insostenibile.

Il governo spagnolo è in parte omertoso sulla faccenda, perché riconosce il valore economico di quest'area che rappresenta uno dei poli agricoli più produttivi d'Europa (oltre 3 miliardi di esportazioni annue). È da diversi anni che tante associazioni provano a far qualcosa per smuovere le acque. Le autorità iberiche hanno sempre presentato il modello di Almeria come un esempio di efficienza agricola sostenibile, soprattutto grazie al risparmio idrico e all'uso parsimonioso dell'irrigazione. Inoltre, proprio perché questo sistema di serre rappresenta una grande fonte di guadagno, si tende a minimizzare o a ritardare interventi strutturali su due fronti cruciali: ambientale e sociale. Le vite dei lavoratori migranti restano intrappolate in un circolo di precarietà, sfruttamento e invisibilità.

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A proposito di questo, va citato anche un episodio drammatico che oltre venti anni fa mosse (e non di poco) l'opinione pubblica iberica per diversi giorni. Nel febbraio del 2000, El Ejido divenne il teatro di uno dei capitoli più bui della Spagna contemporanea. Dopo l’uccisione di tre cittadini spagnoli da parte di due lavoratori marocchini, la tensione latente tra popolazione locale e comunità migrante esplose con una violenza inaudita. Per tre giorni le strade si trasformarono in un campo di battaglia: migliaia di persone incendiarono abitazioni, distrussero negozi e inseguirono uomini e donne solo per il colore della loro pelle. La polizia, sopraffatta, riuscì a malapena a contenere i disordini, e molti atti di violenza rimasero impuniti. Quelle rivolte furono più di un’esplosione di rabbia: mostrarono al mondo il volto nascosto del “miracolo agricolo” del Mar de Plástico, fondato sul lavoro invisibile e sfruttato di migliaia di migranti, spesso relegati ai margini della società. Da allora, El Ejido è diventato il simbolo di una frattura profonda tra chi beneficia di un sistema produttivo e chi, quel sistema, lo sostiene con il proprio sudore e la propria dignità calpestata.

Quanto costa davvero consumare ortaggi fuori stagione?

Molto spesso, in nome della convenienza, compriamo frutta e verdura che arrivano da posti lontani come Marocco, Tunisia, Spagna, Egitto o Sudafrica. Ciò che però ti sembra un acquisto economico, in realtà, ha un prezzo molto alto sia ecologico e sia sociale. Ogni pomodoro e ogni zucchina che acquistiamo nei mesi invernali, contribuisce al sostegno di un sistema che sfrutta le risorse naturali e le persone. La plastica che invade queste serre non è solo un problema per il territorio spagnolo, ma anche per l'intero ecosistema globale.

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Mar de Plastico visibile dal statellite. Foto: European Space Agency, Copernicus Sentinel–2 imagery.

Dietro quei prodotti che riempiono gli scaffali dei supermercati si nasconde infatti una filiera opaca, costruita su consumi idrici insostenibili, rifiuti difficili da smaltire e manodopera sfruttata. Ogni scelta di acquisto diventa, spesso inconsapevolmente, una forma di sostegno a un modello produttivo che compromette il suolo, inquina i mari e alimenta disuguaglianze profonde. Riflettere sull’origine di ciò che portiamo in tavola significa dunque guardare oltre l’etichetta e chiedersi quale impatto reale abbia quel “prezzo conveniente” sul pianeta e sulle persone.

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Quello che i piatti non dicono
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