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25 Dicembre 2025 18:00

Vitello tonnato: storia di un piatto nato grazie ai contrabbandieri del Piemonte

Di grande successo negli anni ’80, oggi in fase di riscoperta, il vitello tonnato è un grande classico delle nostre tavole. Molti credono che sia nato in Francia, invece è una ricetta italianissima, nata grazie ai contrabbandieri del Piemonte e alla loro tecnica di importare il pesce di nascosto. Ecco la storia di uno dei piatti più iconici della cucina piemontese.

A cura di Martina De Angelis
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Il vitello tonnato è un grande classico della cucina italiana, in particolare della gastronomia piemontese, ma il fatto che è conosciuto anche come vitel tonnè ha tratto in inganno molti, rafforzando la convinzione che sia un piatto importato dalla Francia. Invece il vitello tonnato è italianissimo, anzi è anche una ricetta piuttosto antica dalla storia affascinante: anche se è diventato davvero molto famoso a partire dagli anni ’80, il vitello tonnato è nato in realtà intorno al XVIII secolo. All’inizio la ricetta era diversa, la salsa tonnata con cui oggi si cospargono le sottili fettine di vitello non prevedeva il tonno ma solo capperi e acciughe, ma è proprio da qui che si è poi sviluppato il piatto che ha avuto tanto successo negli anni ‘80 e che oggi sta vivendo una riscoperta, complici anche le reinterpretazioni degli chef più famosi. Scopriamo l’affascinante storia del vitello tonnato, che include tra i suoi protagonisti i contrabbandieri piemontesi del ‘700 e il padre della cucina italiana Pellegrino Artusi.

Altro che “vitel tonné”: il vitello tonnato è una ricetta italiana

Il vitello tonnato, nel picco della sua fama durante gli anni ’80, veniva spesso chiamato vitel tonnè e questo appellativo ha creato un gran confusione: in realtà era solo un modo con cui chi proponeva la ricetta si dava un tono più internazionale, ma molti hanno iniziato a credere che proprio per via di questo nome il piatto avesse origini francesi. In realtà non è così, il vitello tonnato è una ricetta tutta italiana nata nel Cuneese all'inizio del XVIII secolo, anche se la paternità del piatto è rivendicata pure dalla gastronomia lombarda, veneta ed emiliana.

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Anche perché, a volere essere proprio precisi, vitello in francese si dice “veau” e non “vitel”. È francese invece l’origine della seconda parte, “tonnè”: la parola sembra derivare dal francese “tanné”, che significava “conciato”, ma anche questo non dipende dalle eventuali origini francesi del piatto. La lingua transalpina del ‘700, infatti, era uno dei tanti ingredienti di quel miscuglio linguistico che contraddistingueva il Ducato dei Savoia, in cui il francese e l'italiano erano le lingue ufficiali ma dove alla fine tutti, sovrani compresi, parlavano il dialetto piemontese, zeppo di francesismi. Quel “tonné” dal suono francese, chissà, era forse un modo per dare lustro (magari ironicamente) e nobiltà a un piatto  tipicamente popolare, preparato con gli avanzi della carne di vitello, lessata a lungo per ottenere una maggiore morbidezza delle parti più dure dell'animale.

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Vitello tonnato

Secondo Giovanni Ballarini, professore universitario e accademico nella delegazione di Parma dell’Accademia italiana della cucina, “si può pensare che tonnato volesse in un primo tempo significare cucinato come fosse tonno”, motivo per cui da subito appare il termine "tonnato". Una teoria probabile, dato che in origine la ricetta non prevedeva il tonno, elemento che è stato introdotto nel 1891 dalla ricetta proposta da Pellegrino Artusi, grazie a cui il vitello tonnato ha lasciato la terra natia e si è espanso in tutta l’Italia Settentrionale.

Il vitello tonnato del ‘700: una ricetta popolare nata grazie ai contrabbandieri

La versione primordiale di quello che oggi conosciamo come vitello tonnato nasce nel XVIII secolo come piatto povero e popolare, cucinato con gli avanzi della carne fatti lessare a lungo per ottenere morbidezza e per provare a disinfettare la materia prima dalle molteplici contaminazioni dell’epoca. In questa fase iniziale la salsa non prevedeva il tonno, era preparata solo con acciughe e capperi; fin dal Medioevo, infatti, in Piemonte si smerciava una gran quantità di acciughe (non a caso tipica della regione è anche la bagna cauda) provenienti dalla Costa Azzurra e dalla Liguria.

Nel Settecento questa pratica è ancora molto diffusa grazie ai contrabbandieri di sale: questi uomini attraversavano il confine per recarsi in Francia alle foci del Rodano, dove potevano acquistare a prezzi molto convenienti il richiestissimo sale che in Piemonte raggiungeva cifre stellari. Bisognava però trasportarlo in Italia evitando i dazi doganali salatissimi anch'essi: gli ingegnosi contrabbandieri pensarono bene di nascondere i carichi di sale sotto grandi quantità di acciughe che invece erano molto economiche e facilitarono così la loro veloce diffusione in tutti i territori del Ducato, caratterizzandone la gastronomia non solo con il vitello tonnato ma anche con la bagna cauda.

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Per secoli servito alla "contrabbandiera" con una salsa di acciughe e capperi, il vitello tonnato lo divenne di nome e di fatto solamente nella seconda metà del 1800, aggiungendo il tonno in un perfetto abbinamento mare e monti. Come arriva il tonno in Piemonte? Probabilmente i primi tranci entrarono di contrabbando, proprio come il sale, nascosti nelle botti piene di acciughe, poi intorno agli anni '70-80 dell'Ottocento inizia ad essere commerciato il tonno in scatola, proposto in enormi contenitori da 5 kg, molto costosi e difficili da conservare una volta aperta la confezione.

La ricetta dell'Artusi e l’introduzione ufficiale della salsa tonnata

La diffusione del tonno in scatola comporta un’evoluzione della ricetta del vitello piemontese, che ora diventa “tonnato” di nome e di fatto, non più solo per la carne che viene cotta come i tranci di tonno. La paternità della nuova ricetta si deve a Pellegrino Artusi, che nel 1891 pubblica nella sua Scienza in cucina e l'arte di mangiar bene inserisce la salsa tonnata che oggi conosciamo: il grande grande divulgatore di Forlimpopoli prescriveva “vitella di latte, nella coscia o nel culaccio”, condita con le acciughe e poi bollita “con due chiodi di garofani, una foglia d’alloro, sedano, carota e prezzemolo”. La carne poi andava tagliata a fette sottili e tenuta “in infusione un giorno o due” in una salsa a base di acciughe, tonno sottolio, limone, olio e capperi.

Complice il fatto che in questo periodo il tonno in lattina diventa più comune e abbordabile, la ricetta con la nuova salsa tonnata proposta da Artusi riscontra un grandissimo successo e il vitello tonnato abbandona i confini regionali, diventando un piatto non più legato solo al Piemonte ma diffuso in tutta l’Italia Settentrionale. Avrai notato che non abbiamo parlato di maionese, oggi un elemento praticamente immancabile nella preparazione della salsa tonnata: in effetti la storica ricetta di Pellegrino Artusi non la prevede, e i puristi della ricetta storica del vitello tonnato affermano che la versione più autentica e originale è quella del grande gastronomo, e che quindi la maionese non va utilizzata.

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La maionese come ingrediente della salsa tonnata fa la sua comparsa intorno agli anni Cinquanta del Novecento e prende in effetti più piede rispetto alla ricetta di Artusi, tanto che oggi praticamente tutti la usano per preparare la salsa e, di conseguenza, il vitello tonnato. In realtà, secondo alcuni studiosi di gastronomia, anche questa abitudine deriva da una ricetta storica, meno famosa di quella dell’Artusi: è una proposta che compare su Il re dei cuochi nel 1880, in cui si spiega il “vitello al tonno” nella sua versione originaria senza pesce, ma in cui compare proprio la maionese. È probabile dunque che il vitello tonnato come lo conosciamo oggi sia un’unione delle due proposte, quella di Artusi che ha inserito il tonno e quella del ricettario ottocentesco che ha suggerito la maionese.

Evoluzione, gloria e riscoperta del vitello tonnato

È nel corso degli anni ’60 che il vitello tonnato si evolve ulteriormente, conquistando una grande fama sia su scala nazionale che a livello internazionale. Tra i principali fautori della ribalta di questo piatto spiccano Guido e Lidia Alciati del ristorante Guido da Costigliole, uno storico ristorante piemontese (oggi celebre locale stellat0): furono loro a dare il via all’epoca d’oro del vitello tonnato, presente fino agli ’80 praticamente in ogni menu.

Dopo questo periodo di gloria il vitello tonnato sparisce per un po’ dai radar e riacquista una dimensione più regionale: rimane molto preparato in Piemonte, ma perde la presa sul resto d’Italia. Questo fino alla riscoperta della ricetta, in tempi recenti, da parte alcuni degli chef più blasonati del panorama gastronomico italiano: sono proprio loro a dare nuova vita al vitello tonnato, trasformandolo dal piatto povero delle origini in una proposta raffinata, rivisitata secondo la fantasia e le abilità di ciascuno. Tra gli esempi più famosi spiccano quelle di Heinz Beck e di Antonino Cannavacciuolo, in cui entrambi hanno invertito la ricetta creando il “tonno vitellato”, il "vitel palamité” preparato da Marco Stabile con la palamita, il “tonno dei poveri”, la versione di Carlo Cracco, fedele alla ricetta originale senza maionese ma con una rivisitazione personale della salsa, ammorbidita con il fondo di cottura della carne, e la versione di Christian Milione, che presenta il vitello tonnato come se fosse una pasta ripiena.

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