Un ingrediente gourmet che ha l'attitudine da superfood: si tratta di una pianta spontanea perfetta per dare un tocco aromatico e personale ai piatti. Ecco come riconoscerla per evitare brutte sorprese e valorizzarla in cucina.
In inglese è noto come wild garlic, cioè aglio selvatico, mentre in italiano il suo nome ha a che fare con gli orsi: probabilmente meno intuitivo da decifrare rispetto al termine anglosassone, ma molto più evocativo. Stiamo parlando dell’aglio orsino, un’erba spontanea che compare spesso (e volentieri) nella dispensa degli chef perché conferisce ai piatti l’aroma della pianta classica, ma con note più morbide e fresche: oltretutto se ne usano principalmente le foglie, con bulbi e fiori ugualmente commestibili, che ne fanno un vegetale potenzialmente a zero spreco. Conosciamolo meglio.
Il nome scientifico dell’aglio orsino è Allium ursinum e appartiene alla stessa famiglia dell’aglio comune (Allium sativum), ovvero quella delle Amaryllidaceae. Che cosa c’entrano gli orsi? Il nome deriva dalla credenza che i pelosi mammiferi che abitano i boschi mangino le sue foglie alla fine del letargo, con lo scopo di depurare l’organismo: questa pianta perenne, infatti, è una delle prime ad apparire tra marzo e aprile, crescendo selvatica in ambienti umidi e ombrosi, spesso vicino a ruscelli, fiumi, faggeti e castagneti. Ma non solo: come l’aglio può vantare proprietà antiossidanti, antinfiammatorie, è un antibiotico naturale, ricco di vitamina C utile a rafforzare le difese immunitarie, e tiene sotto controllo i livelli di colesterolo cattivo nel sangue. Si presenta con foglie lanceolate, lunghe e morbide, di un bel verde, con i fiori bianchi e stellati che fioriscono a ombrello solo in primavera, mentre il piccolo bulbo resta sotto terra.
Come accennato in precedenza, l’aglio orsino è tipico dei boschi dell’arco alpino e degli Appennini, in particolare nel Nord e del Centro Italia, fino a 1000-1500 metri di altezza. In alcune aree, tipo in Trentino-Alto Adige, la sua raccolta è regolamentata, in quanto essendo disponibile per soli tre mesi l’anno va letteralmente a ruba: se ne possono portare a casa quantità limitate per legge, per esempio 10 foglie a persona al giorno, con divieto di estirpare le radici. Oltre che al benessere della pianta e del suo ecosistema, però, è necessario fare attenzione alla propria salute, come in qualsiasi pratica di foraging, funghi in primis: l’aglio selvatico tende a confondersi con esemplari tossici come il mughetto (Convallaria majalis) che si distingue per l’aspetto dei fiori, a campanella e non a punta, o il colchico autunnale (Colchicum autumnale), con cui non combacia la stagione, che possono rivelarsi mortali. Affidati anche all’olfatto: quando strofini le foglie sprigionano un inconfondibile e pungente profumo di aglio, mentre le altre sono praticamente inodore.
Un (altro) punto a favore dell’aglio orsino, oltretutto vantaggioso per l’incolumità di chi non è un esperto botanico, è quello di poter essere coltivato nel proprio giardino o in vaso: essendo un vegetale che non ha bisogno di luce diretta è l’ideale per quei balconi poco esposti al sole. Che cosa occorre? Un terreno umido, ricco di sostanza organica (tra cui calcare) e ben drenato, in una posizione di ombra parziale: puoi partire dal bulbo, da piantare in autunno, con le foglie che si mostreranno tra febbraio e marzo, oppure dalle piantine, da trapiantare in primavera. Entrambi sono opzioni alla portata di tutti, acquistabili nei vivai: per un risultato nel breve periodo (o se ti manca il pollice verde) si sconsiglia di comprare i semi, dato che i tempi di germogliazione vanno in media dai 6 ai 12 mesi, con la fioritura che arriva dopo 2 o 3 anni.
L’aglio orsino si dimostra molto versatile nel momento in cui lo si vuole impiegare nelle ricette: funge da insaporitore e conferisce aroma. Le foglie sono le vere protagoniste: intere o tritate, si usano come condimento a crudo per insalate, zuppe, vellutate, piatti di carne e di pesce, ma anche formaggi freschi, un po’ come si fa con l’erba cipollina (i due fanno parte della stessa famiglia).
Una delle preparazioni più celebri è il pesto all'aglio orsino, una variante tipicamente primaverile di quello alla genovese con il basilico: per un risultato ottimale realizzalo con il mortaio, pestando con il pestello le foglie insieme a un pizzico di sale grosso, parmigiano grattugiato, pinoli (oppure noci o anacardi) e olio d’oliva. Otterrai una crema verde brillante perfetta per la pastasciutta o per comporre crostini semplici e gourmet. Se hai a disposizione i fiori, sceglili come decorazione: il sapore è tenue, ma l’impatto visivo d’effetto guarnendo un gazpacho o una tartare di carne, pesce o verdure.