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7 Dicembre 2025 15:00

Rossa, salina, leggendaria: sulle tracce del mauru, l’alga siciliana quasi scomparsa

Un tempo orgoglio delle coste catanesi, oggi u mauru sopravvive come un segreto del mare: un’alga rossa rarissima, dal sapore feroce e identitario, che racconta una Sicilia dalla acque pure.

A cura di Francesca Fiore
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Chi pensa che le alghe appartengano soltanto ai sushi bar o alle cucine del Sol Levante probabilmente non ha mai sentito parlare del mauru, una delle presenze più misteriose e affascinanti delle coste siciliane. Nelle pieghe della tradizione popolare dell’isola resiste infatti questa piccola creatura rossa, sottile e pungente, che un tempo colorava mercati e chioschi sul mare e che oggi sopravvive appena come ricordo: quasi un frammento di mitologia culinaria.

Un’alga rossa dalle caratteristiche uniche

Nel grande catalogo delle alghe — wakame, kombu, nori — il nome mauru sembra un intruso, una presenza fuori dal coro. Eppure, lungo la costa ionica e in particolare nel territorio catanese, era una parola di casa.
Il termine deriva dall’antico dialettale màguru, “magro”, in origine riferito a un’insalata a base di alghe rosse selvatiche. Con il tempo, l’uso popolare ha finito per fondere piatto e ingrediente, trasformando la ricetta nel nome stesso della pianta marina.

Il termine mauru non indica una singola specie botanica, ma un insieme di alghe rosse tradizionalmente consumate lungo la costa siciliana. Oggi gli studi scientifici più recenti associano il mauru soprattutto alla specie Chondracanthus teedei, identificata come la più tipica delle scogliere ioniche. Tuttavia, nella cultura popolare il nome ha storicamente raggruppato anche altre alghe simili, motivo per cui le fonti non coincidono del tutto: altre alghe considerate "mauru" potrebbero appartenere alle specie Chondrus crispus, Calliblepharis jubata, Grateloupia filicina e Gigartina acicularis. Per comodità, parleremo al singolare: si tratta di un’alga filamentosa dal colore rosso cupo e brillante, sottile come ciocche di capelli intrise d’acqua. Il  profumo è salmastro, vivo, mentre il sapore è deciso, quasi tagliente, con quella tipica nota ferrosa che ricorda il fegato, e ha una consistenza tenace, a tratti callosa.

Sebbene cresca anche altrove – dalle coste portoghesi al Pacifico – è in Sicilia che ha trovato la sua vera patria: negli scenari in cui la lava nera incontra il mare limpido, dove le correnti mantengono il fondale pulito e ossigenato. Per generazioni è stata un alimento semplice e identitario, consumato da pescatori e famiglie del posto come si mangia qualcosa che appartiene profondamente alla propria terra.

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Dalla quotidianità al mito: un cibo che scompare

Oggi u mauru è diventato quasi introvabile: l’aumento dell’inquinamento marino ha reso rare le condizioni di purezza che quest’alga richiede, ovvero acque pulite, fondali rocciosi, correnti costanti. Le poche zone adatte alla sua crescita sono custodite gelosamente, come accade ai cercatori di tartufi che non rivelano mai i loro boschi. La sua presenza si concentra ormai in pochi chilometri di costa, soprattutto tra Acireale, Aci Castello e le scogliere laviche che da Catania scendono verso Ognina; e anche tra marzo e giugno – la stagione perfetta – imbattersi in un ciuffo rosso è un evento tutt’altro che scontato.

Un tempo riempiva bancarelle di pescherie e veniva offerto nei chioschi sul lungomare, mentre i pescatori lo masticavano come spuntino dopo una notte in mare. Oggi la sua stessa raccolta è circondata da un alone di incertezza: non esiste un divieto ufficiale, ma molti evitano di consumarla temendo che possa assorbire tossine, anche quando il mare appare pulito.

Questa ambiguità, unita alla rarità, ha alimentato un’aura quasi proibita: attualmente il prezzo può arrivare a 30 euro al chilo, non tanto per un reale valore commerciale, quanto per la sua rarità e per l’impegno necessario a trovarlo.

Come si mangia il mauru

Se si ha la fortuna di procurarsene un po’, u mauru si gusta in maniera quasi rituale: il modo più autentico è a crudo, con olio extravergine, limone, sale e pepe, una preparazione essenziale che lascia parlare il suo sapore marino, pungente, vulcanico. Chi preferisce un gusto più morbido può sbollentarlo leggermente, oppure usarlo come guarnizione sapida per piatti di pesce, insalate di mare o una pasta ai frutti di mare dal carattere deciso.

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