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19 Giugno 2023 12:00

Perché al Nord lo chiamano “anguria” e al Sud lo chiamano “melone”?

Anguria, cocomero, melone: tre nomi per indicare lo stesso frutto. In realtà di nomi per indicare questi vegetali l'Italia è piena: cerchiamo di capire perché.

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L'Italia è un Paese straordinario, con immense ricchezze in ogni ambito della vita. Tra queste ci sono tutte le sfumature dialettali, con parole che cambiano anche di città in città, nonostante la vicinanza. In estate c'è un dubbio che attanaglia le menti di molti: perché al Sud lo chiamano melone (o "mellone") e al Centro-Nord lo chiamano "cocomero" o "anguria"? Scopriamolo insieme.

A Napoli tutto è "mellone"

Nel caso specifico ci riferiamo a ciò che è comunemente chiamata "anguria", ovvero il cucumis citrullus (questo il nome scientifico): un frutto dolce, dissetante, consumatissimo in estate perché fresco, ricco di benefici, leggero e facile da condividere con gli amici. Ma perché c'è questa confusione nel Bel Paese? A causa delle tante dominazioni che si sono susseguite.

Il termine anguria è prevalentemente usato al Nord perché viene dal greco "angurion", poi utilizzato dai Bizantini nelle dominazioni del VI secolo. Il termine più corretto in italiano sarebbe comunque "cocomero", vista l'origine latina del nome scientifico. Al Sud e soprattutto in Campania, invece, si parla di melone o mellone.  Facendo i puntigliosi diciamo che questo termine si dovrebbe usare quasi solo con il cucumis melo, quello che anche in italiano si chiama melone e che in Toscana e altre regioni del Centro indicano come popone: sarebbe il frutto dalla buccia gialla.

A Napoli le cose sono un pochino diverse perché si può indicare con questa parola tutta la gamma di meloni e cocomeri che troviamo al supermercato, l'importante è aggiungerci un aggettivo qualificativo. Il cantalupo diventa "mellone ‘e pane", vista la consistenza morbida della "mollica", il popone diventa il "melone giallo", visto il colore della buccia, l'anguria diventa "mellone d'acqua". C'è addirittura una varietà autoctona che si chiama "melone di Natale": è coltivato nella zona di Acerra e Nola ed ha una buccia verde bottiglia, tantissimi semi all'interno ma tutti comodamente raggruppati al centro e necessita di un clima autunnale per la maturazione, quindi molti lo consumano in inverno anche perché ha una lunghissima shelf life.

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Dobbiamo necessariamente tornare sul "melone d'acqua" però, l'anguria: i più attenti sapranno che in inglese si chiama "watermelon", e che in tedesco si chiama "wassermelone", entrambe le parole si possono tradurre letteralmente con "melone d'acqua". Curiosamente non c'è alcun legame tra l'etimologia anglosassone e quella campana: il termine tedesco deriva dall'inglese e gli americani chiamano così l'anguria perché la conoscono molto bene, essendo uno dei maggiori produttori al mondo. Le varietà negli Stati Uniti sono effettivamente più acquose rispetto alle nostre: l'assonanza è immediata. Il napoletano non ha però alcun tipo di legame con inglese e tedesco, da dove viene questo nome così particolare? Deriva dal francese. Ormai è desueto ma un tempo l'anguria in Francia si chiamava "melon d'eau", letteralmente "melone d'acqua".

L'anguria nelle altre "lingue" italiane

Partiamo dalle Marche perché sono quelli più fedeli all'originale latino: l'anguria è chiamata "cucumbra", discorso simile anche in Abruzzo dove troviamo il "citrone" o "cetrone". Discorso diverso in Sardegna: non c'è alcun legame con il latino ma troviamo derivazioni spagnole e catalane, a loro volta provenienti dall'arabo. Il nome sardo dell'anguria è "síndria" o "sandia", vocaboli derivanti rispettivamente dal catalano "síndria" e dallo spagnolo "sandía".

Anche in Liguria e Puglia troviamo un legame con l'arabo: a Genova e dintorni usano il termine "pateca" per indicare l'anguria, che deriva dal francese moderno "pastèque", a sua volta dal portoghese "pateca", dall'arabo "baṭīḫa". In Puglia si chiama invece "sarginiscu", per indicare un frutto portato dai Saraceni. Chiudiamo infine con un mistero: in Calabria l'anguria è chiamata "zipangolo", "zuparacu" o "pizzitangulu": non conosciamo ancora l'etimologia di queste parole e le informazioni a riguardo sono legate a improbabili leggende locali.

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