
C’è un momento nell’Odissea che, più di altri, restituisce il senso arcaico e pastorale del Mediterraneo. Ulisse, in fuga dal mare in tempesta, approda con i suoi compagni su un’isola aspra e fertile: cercano riparo e lo trovano in una grotta immensa, colma di ceste, latte e formaggi di pecora, accatastati con cura da un gigante che ancora non si vede. È la dimora di Polifemo, il ciclope figlio di Poseidone, e in quella scena Omero lascia intravedere uno spaccato concreto di vita quotidiana: il mestiere antico dei pastori e la trasformazione del latte in cibo che dura nel tempo.
Molti secoli dopo, quel formaggio leggendario ha trovato un nome e un luogo precisi: pecorino siciliano. Non è un caso che la tradizione popolare e la letteratura gastronomica abbiano voluto riconoscere in lui il discendente diretto del formaggio di Polifemo. Le stesse montagne, lo stesso mare, lo stesso latte di pecora che da millenni nutrono l’isola.
La leggenda nella grotta del ciclope
Secondo il racconto omerico, Ulisse e i suoi uomini entrarono nella grotta di Polifemo attratti dal profumo del latte e dalla vista dei formaggi accatastati. Li trovarono conservati in canestri, simbolo di abbondanza e perizia. Quando il ciclope rientrò, chiuse l’entrata con un masso e catturò gli intrusi, dando inizio a uno degli episodi più celebri dell’Odissea.
La presenza del formaggio nella scena non è casuale: è segno di una civiltà pastorale avanzata, di una tecnica di trasformazione del latte che già allora distingueva le popolazioni del Mediterraneo. Gli studiosi hanno collocato la grotta di Polifemo in Sicilia, tra l’Etna e le coste orientali, un’area da sempre votata all’allevamento ovino. È da qui che nasce il legame simbolico tra il formaggio del ciclope e il Pecorino siciliano Dop, oggi riconosciuto come una delle più antiche specialità casearie d’Italia.

Una lavorazione antica, rimasta intatta
Il Pecorino siciliano Dop è un formaggio a pasta dura prodotto esclusivamente con latte intero di pecora. La lavorazione segue ancora metodi tradizionali: il latte viene coagulato con caglio di agnello o capretto, e la pasta, una volta rotta e riscaldata, viene sistemata nei canestri di giunco che le danno la tipica crosta rugosa, segnata da un reticolo fitto e irregolare.
Dopo la salatura e una prima asciugatura, le forme vengono “cappate” con un sottile strato di olio extravergine d’oliva, che protegge la superficie e aiuta la stagionatura. Il risultato è un formaggio dal profumo intenso, con sentori di fieno e macchia mediterranea, e una pasta compatta, di colore paglierino.
Oggi il pecorino siciliano si trova nei mercati e nelle cucine di tutto il mondo, ma conserva la memoria del mito da cui è nato. Non serve crederci alla lettera per percepirne la forza evocativa: in ogni assaggio c’è qualcosa di arcaico, come se il tempo tra Omero e la Sicilia contemporanea non fosse mai passato del tutto.
Come gustare e abbinare il pecorino siciliano
Il gusto del pecorino siciliano è deciso, ma mai monotono. Nei formaggi più giovani domina la nota lattica e vegetale; in quelli stagionati emergono sfumature speziate e leggermente floreali, tipiche del latte delle pecore che pascolano sulle erbe spontanee dell’isola. È un sapore che cambia a seconda del territorio — più dolce nelle zone interne, più sapido vicino al mare — ma che mantiene sempre un’impronta di autenticità.

Inserito tra le Denominazioni d’origine protetta europee, il pecorino siciliano non è solo un prodotto agricolo: è un frammento di storia. Ogni forma racconta la continuità di una cultura pastorale che non ha mai smesso di adattarsi, mantenendo viva una tecnica nata migliaia di anni fa, quando i pastori di un’isola ancora senza nome lasciavano il latte riposare nelle grotte.
Questa eccellenza, come dicevamo, si gusta in modi diversi a seconda del grado di stagionatura.
- Quando è fresco o semistagionato, la pasta è più morbida e il sapore dolce e armonioso: è perfetto da gustare in purezza, insieme a pane casereccio, olive nere e pomodori secchi, oppure come ingrediente in insalate rustiche e antipasti dal sapore mediterraneo.
- Nella sua versione più stagionata, invece, il formaggio si fa deciso, sapido, con note quasi piccanti. È allora che dà il meglio di sé grattugiato sulla pasta — come nella pasta con i broccoli arriminati ad esempio— oppure tagliato a scaglie e gustato nelle zuppe di legumi. Ottimo anche per dare una sferzata di sapore alle salse pestate.

A tavola, il pecorino siciliano si accompagna splendidamente a sapori che ne esaltano la personalità senza coprirla. Il contrasto con la dolcezza del miele di zagara o con una marmellata di fichi o pere crea un equilibrio perfetto, dove la forza del formaggio incontra la morbidezza del frutto.
Accanto alle forme tradizionali, la Sicilia conserva anche l’usanza dei pecorini farciti, arricchiti con ingredienti che ne esaltano il carattere: pepe nero, pistacchi, peperoncino, olive o erbe aromatiche. Queste varianti nascono dalla fantasia dei casari e dai sapori del territorio, offrendo versioni più golose e conviviali di un formaggio che, pur nella sperimentazione, non perde mai la sua identità antica.

Quanto ai vini, le versioni più stagionate amano la compagnia di rossi corposi e caldi, come il Nero d’Avola o il Cerasuolo di Vittoria, capaci di reggere il confronto con la sua intensità aromatica. Le forme più giovani, invece, si sposano bene con un bianco profumato come l’Inzolia o il Grillo, che ne valorizzano la freschezza e le note erbacee.
Chi ama le sorprese può provarlo anche con una birra artigianale ambrata, dal gusto maltato e leggermente tostato, oppure con un bicchiere di Marsala secco, che chiude l’assaggio con un tocco elegante e profondamente siciliano.