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Chi arriva a Pantelleria per la prima volta resta colpito da un paesaggio che non assomiglia a nessun altro del Mediterraneo. Rocce nere di origine vulcanica, muretti a secco che tagliano i campi e il vento, sempre presente, che piega i fiori, asciuga la terra, entra nelle case. Qui l’agricoltura è stata, nei secoli, un esercizio di resistenza: ogni coltura è frutto di un compromesso con la natura, e gli alberi, più che crescere, sembrano imparare a sopravvivere. È così che nascono gli olivi striscianti, una forma di coltivazione che, più che tecnica, appare come una lezione di umiltà e adattamento.
Un paesaggio modellato dal vento
Pantelleria è un’isola di vento: scirocco, maestrale e libeccio spazzano i campi senza tregua, obbligando i contadini a piegare gli alberi verso il basso, così da difenderli dalla violenza delle raffiche. Le chiome si sviluppano aderenti al terreno, formando ampie corone vegetali che riducono l’evaporazione e trattengono l’umidità. È un paesaggio sorprendente: non distese di olivi alti e regolari, ma figure contorte, quasi sculture naturali, che sembrano dialogare con le pietre e il mare.
In questo contesto è maturata la proposta di istituire una sottozona della Dop per l’olio pantesco. Non si tratta soltanto di un’etichetta di qualità, ma di un riconoscimento dovuto a una pratica agricola che altrove non esiste e che racconta, con la forza del paesaggio, la storia di un’intera comunità. Gli olivi striscianti non sono semplicemente alberi, ma simboli di un’identità che oggi chiede di essere valorizzata anche attraverso le tutele ufficiali.
Tecnica e sapienza contadina
La coltivazione strisciante non è improvvisazione, ma tecnica raffinata: potature mirate e costanti mantengono la pianta bassa, contenuta, resistente. La vicinanza al suolo sfrutta il calore della roccia vulcanica e permette di catturare l’umidità notturna. Così, anche in condizioni di siccità estrema, l’olivo resiste. Molti degli esemplari presenti sull’isola hanno centinaia di anni: sono monumenti viventi della cultura agricola pantesca.
Le olive raccolte da questi alberi non sono grandi, ma custodiscono un concentrato di aromi. L’olio extravergine che ne deriva è intenso e complesso: note erbacee, sentori balsamici, un tocco di sapidità che richiama la presenza del mare. Non un olio “facile”, ma un prodotto che racconta con sincerità il carattere dell’isola, la sua durezza e la sua autenticità.

Resilea, quando la tradizione diventa resilienza
In questo dialogo continuo tra natura e ingegno umano si inserisce Resilea, un’associazione nata a Pantelleria per custodire e tramandare la sapienza agricola dell’isola. La sua attività parte dall’osservazione del paesaggio unico, dove gli ulivi striscianti, i muretti a secco e le vigne ad alberello raccontano secoli di adattamento. Attraverso progetti di ricerca, collaborazioni con l’Università di Palermo e iniziative comunitarie, Resilea lavora per restituire dignità a una pratica che rischiava l’abbandono e per trasformare la memoria agricola in opportunità di futuro. È un impegno che non riguarda solo l’agricoltura, ma la stessa identità di Pantelleria, capace di fare della resilienza una forma di cultura condivisa.
Un patrimonio da tutelare
A Pantelleria l’olio extravergine d’oliva rientra nella Dop “Val di Mazara”: l’idea sarebbe quella di di valorizzare l’olio extravergine locale con una menzione dedicata. L’istituzione di una sottozona Dop, infatti, rappresenterebbe una tappa fondamentale nella tutela di questo patrimonio. Non si tratterebbe soltanto di certificare la qualità dell’olio, ma di riconoscere e difendere un sistema agricolo che ha modellato il paesaggio e custodito l’identità dell’isola. Un passo che andrebbe nella stessa direzione del riconoscimento Unesco per la vite ad alberello di Pantelleria, altro esempio di come l’ingegno contadino abbia saputo dialogare con condizioni ambientali estreme.