
Sette piani, 150 metri di lunghezza per 34mila metri cubi di cemento: un ecomostro in piena regola. O, per dirlo in altre parole, l'Hotel Fuenti, che è come dire la stessa cosa: perché il termine ecomostro – ossia una costruzione in evidente contrasto con l'ambiente naturale circostante – nasce proprio per definire questo albergo sorto all'inizio degli anni '70 sulla Costiera Amalfitana. Un edificio che ha attraversato anni e anni di battaglie legali fino a diventare un simbolo di riscatto e un modello di sostenibilità ambientale: oggi si chiama Giardini del Fuenti e la sua è una storia bellissima.
La nascita del primo ecomostro italiano
Tutto ha inizio nel 1968 quando l’ingegnere Orfeo Mazzitelli ottiene la licenza per costruire il suo Amalfitana Hotel in un'area molto complessa nel comune di Vietri sul Mare, lungo la strada che porta a Cetara. È così che, sul promontorio di tufo sulla spiaggia dell'Acqua del Fico, nasce un mastodontico edificio che ben presto attirerà le attenzioni – e soprattutto le opposizioni – di alcune associazioni ambientaliste. Ma, indignazione a parte, le prime reazioni concrete sul piano legale si hanno durante alcuni successivi sopralluoghi, durante il quale furono riscontrate delle discrepanze tra il progetto presentato all'inizio e la costruzione effettiva, in particolare sull'asportazione di alcune zone che mettevano a rischio proprio la stabilità della scogliera. Questi abusi portarono prima alla revoca del nulla osta regionale e successivamente, nel 1977, alla perdita della licenza comunale fino alla completa confisca della struttura, avvenuta nel 1981.

Una storia lunga e complessa che vede coinvolti la Sopraintendenza ai monumenti della Campania, il comune di Vietri, il ministero dei Beni Culturali, Italia Nostra e la società Tispa in una continua battaglia legale che porterà, nel 1981, alla sentenza del Consiglio di Stato che dichiarerà l’edificio completamente abusivo, impedendo l'inizio dell'attività alberghiera. L'abbattimento invece arriva nel 1999 e ad assistervi ci sono gli eredi di Mazzitelli, scomparso circa 15 anni prima.
Il caso dell'Hotel Fuenti ha lasciato un'impronta profonda (e negativa) nella storia del nostro Paese, catalizzando l'attenzione dell’opinione pubblica sull'abuso edilizio e sulla tutela paesaggistica. Fu proprio da questa vicenda che Legambiente coniò il termine "ecomostro" che, da quel momento in poi, verrà utilizzato per indicare ogni edificio o costruzione che non si trovi in linea con il paesaggio naturale.
Da ecomostro a oasi: cosa sono oggi i Giardini del Fuenti
La storia però non finisce qui: gli eredi dell'ingegnere infatti, pur di non perdere l'eredità, presentarono un nuovo progetto volto a riqualificare quell'area, restaurando il paesaggio e l'ambiente. E finalmente, dopo un'attesa durata quasi cinquant'anni, nasce "Giardini del Fuenti", gestito dai fratelli Alessandra e Pier Luigi De Flammineis, nipoti di Mazzitelli.
Un limoneto, una spiaggia (il Riva Beach Club), il Riva Restaurant, il ristorante fine dining Volta del Fuenti (1 Stella Michelin), il lounge bar Caveau del Fuenti e la Terrazza Limoneto: ecco cosa sorge oggi sulle ceneri di quello che un tempo era una mostruosità. Dimezzamento dell'area cementificata, alberi e vigneti piantati e una vista sulla Costiera Amalfitana che farebbe innamorare chiunque: un epilogo felice che dimostra non solo la volontà di "non fare più danni" ma soprattutto il desiderio di restituire valore a uno dei territori campani più belli in assoluto.

Michele De Blasio: lo chef dei Giardini del Fuenti
A guidare la cucina è lo chef Michele De Blasio, classe 1985 e campano di Sarno: un cuoco che ha saputo trasmettere anche nei piatti la filosofia che ha portato oggi a questo magnifico complesso, valorizzando il territorio e utilizzando ingredienti che raccontano i sapori e i paesaggi della Costiera.
Uno chef che ha girato alcune delle più importanti cucine del mondo prima di tornare nella sua madrepatria: il suo percorso in cucina inizia molto prima di quanto si possa pensare, a soli 9 anni "nella pasticceria di mio cugino, dove ho lavorato un paio di estati e poi ho cominciato a girare vari ristoranti dell’entroterra" racconta De Blasio. A 14 anni decide di voler imparare qualcosa in più e comincia a telefonare a tutti i migliori ristoranti di Italia, arrivando ad Andrea Berton che lo spedisce nelle cucine di Riccardo Camanini: da lì comincia la sua carriera nei ristoranti stellati. Ma "l'esperienza che mi ha segnato di più è stata quella con Pino Lavarra a Hong Kong in cui ho capito quanto il mio gusto fosse molto vicino ai sapori asiatici. Un'esperienza durata un anno, dopo la quale sono entrato a far parte della brigata di Raffaele Vitale: lui faceva una cucina molto territoriale e, essendo un'esperienza arrivata dopo quella di Hong Kong, mi ha fatto capire davvero cosa volessi fare da grande".

È proprio per quest'ultima esperienza che oggi la cucina di De Blasio si lega indissolubilmente al territorio, in un modo però diverso dal solito e che è interamente suo: "Cerco di fare piatti che siano territoriali, ma autentici: d'altronde la tradizione non è altro che un'innovazione che si faceva sessant'anni fa ed è per questo che non voglio fare piatti tradizionali rivisitati, ma ricette totalmente nuove". Un'idea ben precisa e consolidata, che porta nelle cucine del Fuenti una ventata di aria nuova, in cui ridare ai prodotti del territorio una seconda vita, ma con un obiettivo ben preciso: quello della sostenibilità che, per lo chef, "è un impegno che devi prenderti".
Un'attenzione però che deve comunque fare i conti con i limiti territoriali e non essere quindi forzata, ed è per questo che "ho cercato di recuperare i prodotti che offriva la Costiera. Nell'orto che abbiamo lì – prosegue lo chef – ho deciso di non coltivare, ad esempio, i pomodori, dato che sono ortaggi che hanno bisogno di radici profonde e i terrazzamenti hanno poco terreno, ma, piuttosto, recuperare, per esempio, tutta una selezione di erbe da piante alofite – che crescono con il salmastro del mare – e piantarle in un giardino mediterraneo". Una scelta che punta non solo a utilizzare ingredienti a chilometro zero, ma che per loro stessa natura sono più sostenibili di altri: questo perché, questo tipo di piante "vengono nutrite con acqua di mare e non con acqua dolce e questo è importante perché sul pianeta solo il 3% dell’acqua è dolce e noi, purtroppo, la usiamo praticamente per tutto".
"Abbiamo fatto del verde un manifesto": la cucina del Volta del Fuenti
Un concetto che, al di là dei tecnicismi, salta all'occhio anche nei piatti: "Il menu di 7 portate, chiamato ‘Riflessioni‘, è interamente green. Abbiamo giocato sulle varie sfumature di verde, partendo da quella più scura finendo al bianco, come fosse una tavolozza di colori: per questo abbiamo un raviolo con la sfoglia fatta con clorofilla di prezzemolo o, ad esempio, la famosa zuppa di tenerumi (qui chiamata anche bubbetella), in cui vengono usate tutte le parti della zucchina, cotte in diversi modi". Un piatto, quest'ultimo, che tiene fede al mantra "in cucina non si butta via niente" e che rientra a pieno titolo nell'idea alla base della proposta gastronomica del Volta del Fuenti.

Una cucina che si sposa in tutto e per tutto con la filosofia che ha portato alla nascita di questo meraviglioso complesso… ma che non nasce da questo. "L'idea di una cucina sostenibile – spiega De Blasio – non è nata perché ero al Fuenti e doveva per forza essere così. Il fine dining è nato dopo qualche anno che ero lì, l’ho visto nascere e non c'era un progetto definito. È un posto nato con me, con l'idea di cucina che già facevo ed è un po' come se io e il posto ci fossimo integrati. È nato perché sentivo che doveva essere così" e, a quanto pare, funziona alla perfezione.