Tutta l’uva sultanina una volta essiccata è uva passa, ma non tutta l’uva passa è necessariamente uva sultanina. Significa che la prima corrisponde a una varietà di uva fresca che può essere anche disidratata, mentre la seconda si riferisce a un prodotto specifico, ricavato da uve diverse.
Per comprendere subito la differenza sostanziale tra uva passa e uva sultanina basterebbe dire che con la prima si intende un prodotto specifico, noto come uvetta, che rientra all'intero nell'ampia categoria della frutta disidratata, mentre con la seconda si indica una varietà di uva da tavola che può o meno essere destinata all'essiccazione. Perché si tende a sovrapporle? Semplice, perché l’uva sultanina molto spesso si trasforma nell’uva passa più diffusa in cucina, diventando per esempio uno degli ingredienti chiave del panettone, che vuole questa tipologia nel suo impasto, nella granola e in altre preparazioni dolci e salate, come la sarde in saor, caratterizzate dalla nota agrodolce. Andiamo alla scoperta di entrambe, per non fare più confusione.
Partiamo dall'alimento più generico: l’uva passa, conosciuta anche come uvetta, è una definizione che abbraccia tutte quelle uve che sono state sottoposte a un processo di disidratazione, quindi private parzialmente dell’acqua, che ne consente il mantenimento per lunghi periodi, oltre a conferire una maggiore concentrazione di zuccheri: si tratta di un cibo particolarmente calorico ed energetico, da consumare con moderazione, noto fin dall’antichità e utilizzato in ricette tipiche di tutto il bacino del Mediterraneo e oltre. Qual è la materia prima di origine? Diverse varietà di uve aromatiche, bianche o nere, che ben si prestano all’appassimento, come l’uva Zibibbo, la stessa con cui si vinifica, l’uva Corinto Nero, coltivata soprattutto in Grecia e presente anche nell’Eolie (in passato era l’unica uva da cui si ricavava la “passolina”, termine che indica l’uva passa in siciliano) o l’uva di Malaga, tipica dell’Andalusia (non a caso il celebre gelato è a base di uvetta). Tradizionalmente l’uva fresca viene fatta asciugare lentamente al sole, si può fare anche a casa, mentre per la produzione su larga scala si usano tecniche industriali, con l’essiccazione meccanica (e non manuale) in forni ventilati a temperatura controllata.
In questo caso stiamo parlando di una varietà di Vitis vinifera (termine botanico dell’uva comune) che proviene dalla Grecia, dall’Albania, dalla Turchia e dall’Iran, allevata ampiamente al giorno d’oggi anche in Australia e negli Stati Uniti. Si chiama Thompson Seedless o Sultana e caratterizza per avere acini piccoli e carnosi, senza semi, di colore tra il verde e il giallo-ambrato quando raggiunge la completa maturazione, rientrando nella tipologia delle uve bianche da tavola. Ha un alto livello di glucidi, che la rendono particolarmente dolce. Il nome sembra provenire dalla città di Soldania (oggi Sudak) in Crimea, in passato fiorente porto commerciale con cui entravano in contatto anche le Repubbliche Marinare di Venezia e di Genova. L’uso principe dell’uva sultanina non è essere sgranocchiata a fine pasto, ma diventare uva passa – si chiama anche uvetta sultanina – ed essere impiegata soprattutto in pasticceria, proprio per via della sua dolcezza naturale.
Spesso usate come sinonimi, quindi, l’uva passa e l’uva sultanina non sono la stessa cosa. L’uva passa, in pratica, è una categoria merceologica, un termine-ombrello che copre tutte le uve sottoposte a disidratazione, mentre l’uva sultanina è una varietà specifica di uva bianca, con un contenuto zuccherino elevato e un gusto naturalmente dolce. Le differenze sono nella materia prima, con l’uva passa che si ricava da diverse fonti e che per questo assume molteplici sfumature di colore, dal dorato al bruno-violaceo, a seconda che la bacca sia nera o bianca. L’uva sultanina, in più, è apirena, cioè priva di semi e più regolare nell’aspetto, senza i vinaccioli. Riassumendo, tutta l’uva sultanina una volta essiccata è uva passa, ma non tutta l’uva passa è necessariamente uva sultanina.