Siamo a Campegine, provincia si Reggio Emilia, il 25 luglio 1943: qui un piatto di pasta divenne il simbolo della libertà ritrovata. Ma non della fine della sofferenza: ci vorranno ancora due anni e molti morti per sollevare il nostro Paese dalla morsa nazi-fascista.
Ci sono piatti che raccontano storie, e poi ce ne sono alcuni che le custodiscono, come un gesto quotidiano che si fa memoria: la pastasciutta antifascista è uno di questi. Non una ricetta, ma un simbolo. La sua origine risale al 25 luglio 1943, quando la notizia della caduta del regime fascista si diffuse in tutta Italia. A Campegine, in provincia di Reggio Emilia, la famiglia Cervi – contadini, antifascisti e futuri protagonisti della Resistenza – decise di offrire pastasciutta a tutto il paese, davanti alla casa del fascio. Un gesto semplice, ma carico di significato: cibo condiviso per celebrare una libertà appena riconquistata. Oggi, a distanza di decenni, quel piatto di pasta continua a essere servito in occasioni pubbliche, in particolare il 25 aprile, come omaggio alla Liberazione e alla memoria civile. Perché anche a tavola si può fare cultura, e a volte, resistenza.
Siamo a Campegine, un piccolo paese della provincia di Reggio Emilia, il 25 luglio 1943. È il giorno in cui cade il regime fascista di Mussolini: il Gran Consiglio del Fascismo lo sfiducia e il re lo fa arrestare. La notizia si diffonde rapidamente in tutta Italia. In questo contesto entra in scena la famiglia Cervi, contadini antifascisti noti per il loro impegno politico e civile. Papà Alcide Cervi e i suoi sette figli – tutti militanti nella Resistenza – decidono di festeggiare la caduta del Duce a modo loro: preparando un’enorme pastasciutta e offrendola gratuitamente a tutto il paese nella piazza di fronte alla casa del fascio.
"Si procurarono la farina, presero a credito burro e formaggio dal caseificio e prepararono chili e chili di pasta – si legge sul sito dell'Istituto Cervi– Una volta che questa fu pronta, caricarono il carro e la portarono in piazza a Campegine, pronti a distribuirla alla gente del paese. Fu una festa in piena regola, un giorno di gioia in mezzo alle preoccupazioni per la guerra ancora in corso”.
Quel piatto di pasta non era solo un pasto: era un atto di libertà, un modo popolare e concreto per celebrare la fine di un regime che aveva oppresso l’Italia per oltre vent’anni. La pastasciutta, cibo umile ma simbolico, diventò così l’emblema di una festa non violenta, collettiva, antifascista.
La storia dei fratelli Cervi è una delle più emblematiche della Resistenza italiana: sette giovani contadini emiliani, figli di Alcide Cervi e Genoeffa Cocconi, nati tra il 1901 e il 1921 a Campegine, in provincia di Reggio Emilia. Cresciuti in un ambiente cattolico e democratico, abbracciarono ideali antifascisti fin dagli anni '30.
Nel 1934, la famiglia si trasferì nel podere di Campi Rossi, dove introdussero tecniche agricole innovative e trasformarono la loro casa in un punto di riferimento per antifascisti e partigiani. Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, i fratelli Cervi intensificarono la loro attività nella Resistenza, offrendo rifugio a prigionieri alleati e partecipando ad azioni di guerriglia contro il regime fascista.
Il 25 novembre 1943, i sette fratelli furono arrestati insieme al padre e ad altri partigiani. Dopo un mese di detenzione, il 28 dicembre 1943, furono fucilati al poligono di tiro di Reggio Emilia come rappresaglia per l'uccisione di un funzionario fascista. Con loro fu giustiziato anche Quarto Camurri, un disertore che si era rifugiato presso la loro casa.
Il padre, Alcide Cervi, sopravvisse alla guerra e dedicò il resto della sua vita a testimoniare il sacrificio dei suoi figli. Nel 1955, pubblicò il libro "I miei sette figli", che divenne un simbolo della memoria resistenziale italiana. Oggi, la loro casa a Gattatico ospita il Museo Cervi, dedicato alla storia dell'agricoltura, dell'antifascismo e della Resistenza.
La vicenda dei fratelli Cervi è stata raccontata anche nel film "I sette fratelli Cervi" (1968) di Gianni Puccini, con la sceneggiatura di Cesare Zavattini e l'interpretazione di Gian Maria Volonté nel ruolo di Aldo Cervi. Nel film, la scena della pastasciutta del 25 luglio 1943 è rappresentata in modo chiaro e centrale. Appena arriva la notizia della caduta di Mussolini, Alcide Cervi e i suoi figli decidono di preparare grandi pentoloni di pasta e di portarla in piazza a Campegine, per offrirla gratuitamente alla popolazione. La scena è intensa: un momento di gioia collettiva, di sollievo, ma anche di presa di posizione politica. Non è solo una festa spontanea: è una presa di posizione visibile, che riafferma pubblicamente l’identità antifascista della famiglia.
Negli anni successivi, il significato di quel gesto non si è perso: oggi, in tante città italiane, in occasione della Giornata della Liberazione si organizzano eventi chiamati "Pastasciutta Antifascista", promossi da enti come l’Istituto Alcide Cervi. Questi momenti pubblici uniscono memoria storica, convivialità e impegno civile.