
Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump fa un passo indietro sulla maggiorazione delle tariffe sui prodotti gastronomici e non solo. Negli Stati Uniti, dove il carrello della spesa pesa ormai quanto una rata del mutuo, la Casa Bianca ha imboccato una strada sorprendente: eliminare i dazi su centinaia di prodotti alimentari, dalla carne al caffè, fino a mango, avocado e pomodori. Il provvedimento riscrive una delle colonne della sua stessa politica commerciale e lascia intravedere una motivazione che va oltre la libera circolazione delle merci: la crescente impazienza degli americani di fronte ai prezzi sempre più alti.
I prodotti di cui gli Usa hanno bisogno
Nel suo primo e secondo mandato, Donald Trump aveva fatto dei dazi lo strumento-simbolo dell’“America first”, convinto che tariffe più alte sulle importazioni avrebbero rilanciato la produzione interna e rafforzato la mano degli USA nei negoziati globali. La realtà si era rivelata più sfumata: ritorsioni sui prodotti agricoli americani, costi maggiorati per gli agricoltori, e — ironia del protezionismo — alcuni rincari proprio per i consumatori.
Oggi la retromarcia sui dazi per prodotti alimentari come carne, caffè, banane, mango, avocado e pomodori — tutti beni che gli USA non producono in quantità sufficienti — cambia la narrativa. Ufficialmente, la decisione risponde a “progressi nelle trattative commerciali” e a esigenze di approvvigionamento. Ufficiosamente, è difficile non leggerla come un segnale di preoccupazione per l’umore degli americani alle prese con il caro-spesa.

Il costo della spesa alle stelle per gli americani
Da mesi i prezzi dei generi alimentari sono tra i fattori che più incidono sulla percezione economica degli americani. E il malcontento si è fatto sentire anche alle urne: in stati chiave come New Jersey, Virginia e New York, l’attenzione al costo della vita ha favorito i democratici. In un contesto del genere, per un presidente che si presenta come difensore della classe media, ignorare il tema sarebbe rischioso.
Eppure Trump aveva bollato l’affordability – cioè la reale accessibilità dei prezzi rispetto al reddito – come un’invenzione dei democratici. Dietro le quinte, però, i suoi consiglieri avvertivano da tempo il pericolo: tariffe alte e prezzi in salita potevano trasformarsi in un boomerang politico in vista delle elezioni del 2026. La rimozione dei dazi, oltre agli effetti economici, è quindi un segnale: la Casa Bianca vuole mostrare che sta intervenendo.
La lista dei beni sdoganati è lunga “centinaia di prodotti”, ma alcuni spiccano per impatto e consumo quotidiano: carne, banane, caffè, mango, avocado, pomodori. L’amministrazione dichiara un criterio semplice: esenzione per tutto ciò che gli USA non producono a sufficienza.
Dal punto di vista agroalimentare, per i consumatori americani il vantaggio è un possibile calo dei prezzi di frutta tropicale, verdura importata e caffè, mentre per i paesi esportatori quello di nuove opportunità sui mercati USA, specie per America Latina, Africa e Asia.
La rimozione dei dazi non convince tutti: molti analisti la leggono come un intervento politico più che come un aggiustamento tecnico delle politiche commerciali. L’obiettivo sarebbe arginare la pressione dei prezzi prima che diventi un problema elettorale. Restano inoltre alcune incognite come il fatto che, ad esempio, questo non si traduce in un automatico e immediato calo dei prezzi al dettaglio, mentre l'agricoltura americana continua a rimanere sotto pressione in altri comparti.