
Se hai viaggiato in Asia e hai visitato Paesi come la Cina, il Giappone o la Corea, ti sarà sicuramente capitato di vedere un pentolone con un fornellino direttamente allestito a tavola. A prima vista può sembrare solo un modo curioso di cucinare, ma la realtà che si cela dietro nasconde molto di più. Stiamo parlando di uno dei riti conviviali più famosi e affascinanti della cucina asiatica: l'hot pot cinese o il giapponese shabu-shabu. Due piatti che sembrano simili, ma che raccontano storie e culture diverse. Un'usanza tanto amata anche dai turisti che racconta di un pasto che si trasforma in un'esperienza culturale prima che gastronomica. Vediamo insieme di che si tratta.
Hot pot cinese: fuoco, spezie e condivisione
Se hai in programma una visita alla Grande Muraglia o di Piazza Tienanmen a Pechino, prima di lasciare la Cina dovresti assolutamente concederti una cena a base di hot pot. In cinese si pronuncia (火锅, huǒ guō), letteralmente "pentola di fuoco" ed è un'antica tradizione che affonda le radici a oltre mille anni fa, durante la dinastia Jin (265-420 d.C.). Spesso consumato nei mesi invernali per resistere al grande freddo, alcuni sostengono che fosse una pratica culinaria importata dai cavalieri mongoli che invasero la Cina. Con la dinastia Tang (618-906 d.C) si è poi diffuso nel nord del Paese, per poi espandersi in tutta la Cina con la dinastia Qing.

Oggi la versione più celebre e rinomata è quella della Regione del Sichuan, già famosa per la sua cucina piccante, ed è un piatto così piccante che fa addirittura intorpidire le labbra. Sostanzialmente consiste in questo pentolone, diviso in due scomparti, che viene messo a centro tavola in cui ribollono due tipi di brodo. In uno scomparto è super piccante, nell'altro è più delicato. Vengono servite delle fettine sottilissime di carne, un taglio simile a quello che si usa per il carpaccio, e stesso i commensali le iniziano a cuocere intingendole in uno dei due brodi. Insieme alla carne vengono poi cotte verdure come funghi, cavolo cinese e anche tofu. Insomma l'hot pot è un'esperienza culinaria da provare assolutamente.
Shabu-Shabu: l'eleganza e la leggerezza del Sol Levante
La risposta giapponese all'hot pot si chiama shabu-shabu. Il Paese nipponico, con la sua inclinazione alla raffinatezza, ha trasformato il concetto della pentola di fuoco cinese a un qualcosa di essenziale e minimalista.
Questo modo di cuocere la carne nasce negli anni '50, a Osaka, ed è chiaramente ispirato alle tradizioni provenienti dalla Cina e dalla Mongolia. Se non ne hai mai sentito parlare, sicuramente sarai stato incuriosito dal nome. Ebbene, devi sapere che non è nient'altro che la "riproduzione onomatopeica" del movimento che si fa muovendo velocemente la carne nell'acqua del brodo.

Qui non trovi spezie dirompenti come in Cina, ma un brodo limpido, quasi neutro, in cui si immergono fette sottilissime di wagyu o di maiale, insieme a verdure e tofu. Dopo pochi secondi di cottura, la carne viene gustata intinta in una salsina delicata a base di ponzu e semi di sesamo.
Le differenze: due mondi a confronto
A un occhio inesperto l'hot pot e lo shabu shabu potrebbero sembrare la stessa cosa, ma in realtà sono differenti. La versione cinese, che è quella originale, è un'esplosione di sapori, piccantezza, colori e varietà. Più tipi di brodo nello stesso tavolo, ingredienti eterogenei e una convivialità rumorosa che ti permette di trascorrere una fantastica serata.

Lo shabu shabu, invece, è un brodo leggero, pochi ingredienti delicati e un rituale quasi collettivo di muovere la carne nell'acqua bollente. In Cina è il brodo a fare da protagonista in quanto dona sapore intenso a ogni ingrediente; in Giappone, il brodo risalta ancora di più una carne tanto pregiata come il wagyu che invece è l'attore principale. Insomma due modi di vivere la tavola, ma entrambi capaci di trasformare un piatto in un'esperienza indimenticabile.