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12 Novembre 2025 16:00

Guida al caffè filtro: com’è fatto, come prepararlo e le differenze con l’americano

Non solo moka ed espresso: anche in Italia la curiosità di gustare il caffè in modo alternativo sta prendendo piede, facendo spazio a preparazioni che un tempo avrebbero avuto appellativi poco lusinghieri.

A cura di Federica Palladini
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In inglese le definizioni che ricorrono più spesso per definirlo sono filter coffee, drip coffee e pour-over coffee, con quest’ultima in particolare che indica gli strumenti per realizzarlo manualmente. Il caffè filtro, infatti, si può ricavare con macchine elettriche molto pratiche e veloci, ma anche con metodi artigianali che stanno diventando i più apprezzati tra i cultori dello specialty coffee: la sua diffusione deve molto all'inventiva di Melitta Bentz, una donna tedesca che nel 1908 brevetta i filtri in carta che tutt’ora si usano nella preparazione e che sono stati fondamentali per ottenere una bevanda senza residui di macinato.

In Germania, nei paesi dell’Europa del Nord (soprattutto Finlandia e Norvegia), così come negli Stati Uniti e in Giappone, questo è il modo più comune per farsi il caffè. Di cosa stiamo parlando? Con caffè filtro si intende un metodo di estrazione che si basa sulla percolazione che sfrutta la forza di gravità. Molto semplicemente, significa che l’acqua calda passa attraverso uno strato di caffè macinato contenuto all’interno di un filtro, lasciando cadere la bevanda in un recipiente sottostante invece che salire verso l'alto come nella moka. Il risultato è un caffè leggero, aromatico, pulito e generoso nella dose: ma non storcere il naso, perché è lungi dall'essere "acqua sporca". Andiamo alla sua scoperta.

Come si fa il caffè filtro 

Abbiamo anticipato che il caffè filtro può essere realizzato con le macchine elettriche, di cui le prime notizie si hanno tra gli anni ‘50 e gli anni ‘60 in Germania e nei Paesi Bassi, anche se è la modalità più tradizionale e slow che sta prendendo sempre più piede, ovvero quella che vede protagonisti gli strumenti manuali: alla base c’è il cosiddetto dripper, dalla forma di cono o imbuto di ceramica, vetro, metallo o plastica nel quale si inserisce un filtro di carta che viene bagnato con acqua calda, fatta precedentemente bollire con un bollitore (o con un pentolino). Si aggiunge il caffè macinato e poi si versa poca acqua fino a ricoprire tutta la miscela, lasciando che l’acqua venga assorbita per 10-15 secondi, così da far “fiorire” gli aromi (dall’inglese blooming, fioritura): a questo, compiendo dei movimenti circolari a spirale, si unisce lentamente tutta l’altra acqua, che piano piano inizierà a filtrare direttamente nella tazza o nella caraffa sottostante. In tutto il processo dura tra i 2 e i 4 minuti. L’operazione è semplice, ma si affina con l’esperienza. Qualche consiglio utile?

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  • Munisciti di un bollitore, di una bilancia e di un timer. Il primo risulta molto pratico per riscaldare l’acqua, mentre la seconda è fondamentale per calcolare le giuste quantità: in generale per una porzione utilizza 4 cucchiaini di caffè (corrispondono a 20 grammi) e 180 ml di acqua (la dose di una tazza). Il terzo, invece, è utile per misurare i tempi delle versate.
  • Fai attenzione alla temperatura dell’acqua, che deve essere tra i 90 °C e i 96 °C, altrimenti il rischio è di estrarre dal caffè componenti troppo amare o acide.
  • Preferisci un caffè dalla tostatura chiara o media, perché solitamente garantiscono sapori e aromi più morbidi. Anche la granulometria ha la sua importanza: il macinato non deve essere fine o finissimo, perché altrimenti rischia di fare da tappo sul filtro, al contrario, invece, il passaggio dell’acqua è importante che sia regolare: sceglila quindi più grossolana rispetto a quella che usi per la moka o l’espresso.

Per quanto riguarda le attrezzature, gli estrattori manuali più noti sono: il V60, che ha l’aspetto di un cono caratterizzato da una torsione a spirale e da un grande foro alla base, il Chemex, dal design accattivante a forma di clessidra e il Kalita, con il gocciolatore conico dal fondo piatto con tre fori. Ogni manual dripper ha le sue peculiarità e non si può dire che uno sia migliore di un altro. Secondo un recente “provato per voi” del New York Times, la medaglia d’oro va al modello Kalita Wave 185 Dripper, seguito da Hario V60 Coffee Dripper: se sei un principiante, il Kalita 102 Ceramic Dripper è quello che fa per te, mentre chi ama l’abbondanza punterà sul Chemex Six Cup Classic Series.

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Differenza con il caffè americano

Molte persone credono che caffè filtro e caffè americano siano sinonimi. In realtà sono due bevande diverse, ma l’equivoco nasce dal fatto che in Italia il termine "americano" viene usato per indicare un espresso allungato con acqua calda, mentre il caffè filtro per via della sua popolarità negli States è noto come “caffè all’americana”. Altri caffè che sfruttano l’ausilio di un filtro, invece, sono quelli ottenuti tramite la french press, con la caffettiera a stantuffo in cui si lascia la bevanda in infusione, o con il caffè vietnamita, che scende goccia dopo goccia dopo il passaggio nel phin, l’apposito filtro. Infine, anche la cuccumella napoletana si annovera tra le tecniche di preparazione di un caffè filtrato, con il serbatoio che si capovolge al momento dell’estrazione.

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