
Sulle confezioni le uova appaiono tutte uguali: pulite, perfette, rassicuranti. Ma basta guardare più da vicino per scoprire che non tutte raccontano la stessa storia: dietro a quei numeri stampati sul guscio si nasconde un mondo fatto di allevamenti intensivi, scelte genetiche, normative europee e tentativi di cambiamento. Quel che vediamo è solo l’ultima frazione di una catena produttiva complessa — e spesso controversa — che parte mesi prima, tra incubatrici e capannoni intensivi, e arriva fino al punto vendita. Dietro quel codice stampato sul guscio c’è una scelta: tra modelli di allevamento diversi, standard di benessere molto divergenti e decisioni che hanno conseguenze concrete, etiche e ambientali.
Negli ultimi anni il consumo di uova in Italia è cresciuto in modo costante. Il dato pro capite si attesta intorno alle 214,5 uova all’anno. Il nostro Paese è il quarto produttore europeo: con circa 42 milioni di galline ovaiole distribuite in poco meno di 3.000 allevamenti, si producono oltre 12 miliardi di uova, pari a circa 776.000 tonnellate.
Ma parlare di “miliardi di uova” significa parlare anche di modelli produttivi. Secondo i dati dell’Anagrafe Nazionale, tra il 2019 e il 2024 la quota di uova provenienti da galline in gabbia è diminuita del 25,5%. Alla fine del 2023, circa il 34,5 % dei capi in deposizione sono ancora in allevamenti con “gabbie arricchite”; il 55,6 % viene da allevamenti “a terra”, mentre le percentuali di uova “all’aperto” e “biologiche” sono rispettivamente del 5,1 % e del 4,8 %. Questi numeri suggeriscono che, pur con segnali di cambiamento, il modello intensivo resta saldo in larga parte del comparto.
Il lato invisibile della filiera: il destino dei pulcini maschi
Un capitolo poco conosciuto, e doloroso, è quello dei pulcini maschi. Perché vengono eliminati? Molto semplicemente perché l’industria delle uova ha selezionato linee genetiche che depongono con efficienza, ma che non sono “adatte” per la produzione di carne. I maschi risultano “inutili” in entrambe le filiere principali. In Italia si stima che ogni anno vengano soppressi tra 25 e 40 milioni di pulcini maschi poche ore dopo la schiusa. Talvolta tramite triturazione o gassificazione, spesso senza stordimento preventivo.
Dal punto di vista legislativo, qualcosa si sta muovendo: l’Italia ha approvato una legge che prevede il divieto di abbattimento selettivo dei pulcini maschi entro dicembre 2026, introducendo l’obbligo di sessaggio in-ovo (cioè identificare il sesso prima che il pulcino nasca). Tuttavia, restano molti “dettagli” da definire per l’attuazione piena della norma. In parole semplici: una pratica che per decenni è stata completamente invisibile sta per essere messa in discussione, anche se il cambiamento richiede tecnologia, tempo e volontà politica.

I “codici” sull’uovo: cosa dicono davvero
Il guscio di un uovo porta con sé una piccola etichetta che può sembrare banale, ma che è una chiave per capire il percorso del prodotto. Il primo numero indica il tipo di allevamento:
- 0 = biologico
- 1 = all’aperto
- 2 = a terra
- 3 = in gabbia (gabbie arricchite)
Ma quel numero non racconta tutto. Due galline che producono uova contrassegnate “1” in allevamenti diversi possono vivere in condizioni molto differenti, in base a densità, gestione degli spazi esterni, ombreggiamenti, ventilazione, tempi di accesso al pascolo. L’etichetta fornisce un’informazione utile, ma non esaustiva.
Gli allevamenti “in gabbia”, pur con le gabbie arricchite obbligatorie, continuano a essere criticati per gli spazi minimi concessi (che in molti casi equivalgono a una superficie dell’ordine di un foglio A4 per gallina), per l’impossibilità di muoversi in modo naturale e per la costante artificialità del ciclo produttivo. Gli allevamenti “a terra” migliorano qualcosa: scongiurano le gabbie, permettono più libertà di movimento all’interno del capannone, ma rimangono confinati, senza contatto con l’esterno.
Le galline “all’aperto” hanno accesso all’aria libera, ma la normativa non specifica per quanto tempo, né come garantire che tutte possano effettivamente uscire. Il biologico è la categoria più protetta con mangimi certificati, densità ridotte, obbligo di aree esterne: ma anche qui non tutte le aziende sono uguali.
Dentro gli allevamenti: uno NON vale l'altro
Entrare in un allevamento intensivo di galline ovaiole significa entrare in un mondo costruito attorno all’efficienza. File di capannoni metallici, luce artificiale che simula l’alba e il tramonto, temperatura e umidità costanti, alimentazione automatizzata, raccolta meccanica delle uova: tutto è progettato per ridurre gli imprevisti, aumentare la produttività e contenere i costi.
In un impianto di medie dimensioni, ogni gallina dispone in media di 750 cm² di spazio, poco più della superficie di un foglio A4. Ogni animale depone circa 320 uova l’anno, in un ciclo produttivo che dura appena 12–14 mesi, dopodiché viene sostituito. È la logica industriale applicata alla biologia. In un allevamento convenzionale, ogni aspetto è programmato: la luce (per simulare lunghezze di giorno ottimali per la deposizione), la temperatura, il flusso di mangime e acqua, il ciclo di raccolta. È un sistema che sfrutta al massimo l’efficienza biologica, ma che spesso sacrifica la dimensione animale.

Una pratica che merita attenzione è lo sbeccamento (debeaking o beak trimming): ovvero la rimozione parziale del becco allo scopo di evitare che le galline si danneggino reciprocamente, fenomeno che può emergere in situazioni di stress o alta densità. Questa operazione, eseguita spesso senza anestesia, è oggetto di critiche etiche, perché comporta dolore e può compromettere l’alimentazione degli animali.
Infine, la rotazione: quando la resa produttiva cala (di solito dopo circa 12–18 mesi), le galline vengono sostituite. L’allevamento continua con le nuove “rimonte” come se fosse una catena infinita.
Negli allevamenti “a terra”, che oggi rappresentano oltre la metà della produzione italiana, le galline non vivono in gabbia ma rimangono all’interno di grandi capannoni. Possono muoversi, razzolare, beccare il suolo, ma non hanno accesso all’esterno. L’ambiente è meno costrittivo, ma resta artificiale: luce, temperatura e aria sono controllate da sistemi automatici, e la densità rimane alta, fino a 9 galline per metro quadrato secondo la normativa europea.

Agli antipodi ci sono gli allevamenti estensivi, cioè quelli all’aperto o biologici, dove le galline possono uscire durante il giorno e accedere a spazi erbosi. Nel biologico, la densità massima è 6 galline per metro quadrato all'interno del capannone e 4 per metro quadrato di spazio esterno, con mangimi certificati e divieto di antibiotici preventivi.
Le differenze non sono solo etiche, ma anche qualitative: galline allevate all’aperto, che razzolano e si nutrono anche di erba o insetti, producono uova con tuorli più intensamente colorati e ricchi di pigmenti naturali.
Tuttavia, anche gli allevamenti estensivi non sono esenti da limiti: per esempio la disponibilità reale di spazi esterni varia molto da azienda ad azienda e non tutte le galline riescono ad accedervi. Inoltre, la produzione biologica copre appena il 5% del mercato italiano, con costi di gestione e prezzo finale più elevati.

Una volta deposte, le uova raccolte vengono trasportate ai centri di selezione dove vengono disinfettate — non lavate, per non eliminare la cuticola protettiva — e pesate (categorie S, M, L, XL). Poi vengono marcate con il loro “codice d’identità” (tipo di allevamento, paese, provincia, azienda) e confezionate. Il tutto avviene in tempi rapidi, per mantenere freschezza e sicurezza.
Dopo il confezionamento, le uova vengono distribuite lungo la catena del freddo (anche se spesso conservate a temperatura ambiente fino al momento della refrigerazione allo scaffale) e raggiungono il consumatore finale. Il viaggio dura pochi giorni, ma ogni tappa è parte di un sistema che lavora per l’uniformità, il controllo e la standardizzazione.
Uova da allevamenti intensivi: hanno conseguenze sulla salute?
Sebbene le uova siano un alimento nutriente e sicuro, diversi studi hanno sollevato interrogativi sugli effetti indiretti degli allevamenti intensivi sulla salute umana. Le densità elevate e l’uso frequente di antibiotici possono favorire la comparsa di batteri resistenti e la presenza di residui farmacologici nelle uova o nell’ambiente circostante. Altri studi segnalano un rischio microbiologico più alto, in particolare per contaminazioni da Salmonella e altri patogeni zoonotici, in sistemi di produzione ad alta intensità. Inoltre, la concentrazione di allevamenti industriali è stata associata a una maggiore diffusione di geni di resistenza antimicrobica (ARGs) e contaminazione ambientale potenzialmente dannosa per l’uomo.
Sul piano nutrizionale, alcune ricerche hanno confrontato uova da allevamenti intensivi e sistemi con accesso al pascolo, rilevando differenze nel profilo lipidico e nel contenuto di vitamine e carotenoidi, sebbene non sempre clinicamente significative. In sintesi, non esistono prove dirette che il consumo di uova da allevamenti intensivi sia nocivo per la salute, ma la filiera intensiva può comportare rischi indiretti legati a resistenza antimicrobica, sicurezza alimentare e qualità nutrizionale.

Prendere decisioni al supermercato
Davanti a scaffali affollati, la differenza spesso si riduce al prezzo. Ma qualche euro in più può fare la differenza tra sostenere un modello intensivo e sostenere chi prova a cambiare le regole del gioco.
Un dato significativo: in vari Paesi europei la pressione pubblica ha portato al divieto delle gabbie o alla progressiva uscita da esse. In Svezia, per esempio, l’uso delle gabbie è stato eliminato completamente. In Italia, l’evoluzione è più lenta, ma la percentuale di uova da allevamento a terra cresce, mentre quella da gabbia cala.
Scegliere uova biologiche o da allevamento all’aperto non è solo una questione di gusto: è una dichiarazione etica. Ogni confezione diventa un voto per un sistema che mette al centro la salute, il benessere animale e la trasparenza. Perché dietro a un semplice uovo non c’è solo una fonte di proteine: c’è un modello di società, fatto di scelte, responsabilità e consapevolezza.