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L’Italia ha un patrimonio enogastronomico talmente variegato che non basterebbe una vita per provare tutte le sue specialità. Basta pensare alle molteplici sfaccettature che offre l’universo dei prodotti lattiero-caseari: ogni regione non ne vanta solo una, ma più tipologie che rappresentano il territorio, dalle robiole tipiche del Nord Italia ai formaggi a pasta filata simbolo del Sud. Qui ci troviamo tra le colline della dorsale appenninica che attraversa la Romagna, le Marche e l’Umbria, patria d’elezione dei formaggi di fossa, eccellenze che arrivano dal passato e che vale la pena conoscere (oltre che assaggiare).
I formaggi di fossa: le caratteristiche e la storia
I formaggi di fossa sono prodotti caseari unici, che hanno come fase cruciale della loro maturazione la cosiddetta “infossatura”. Cosa significa? Che appena terminata una prima stagionatura, solitamente in cella, si procede a riporre le forme – di latte vaccino, ovino (il pecorino di fossa) o misto – in fosse sotterranee di arenaria o di tufo, a seconda della zona geografica di riferimento. All’interno di questi anfratti scattano condizioni microclimatiche particolari che, grazie alla forte umidità e alla quasi totale mancanza di ossigeno, innescano una fermentazione anaerobica naturale responsabile della trasformazione del formaggio: cambia nella sua consistenza, che diventa friabile, nell’aroma con note di sottobosco, fieno, tartufo e frutta secca, nell’aspetto, leggermente irregolare per via dell’azione dei microrganismi e nel colore, che assume sfumature bianco-avorio, paglierine, fino all’ambrato.
Stiamo parlando di alimenti che affondano le loro radici in tempi passati, già nel Medioevo, quando i contadini dell’area appenninica a cavallo tra Romagna, Marche e Umbria erano spesso vittime di razzie da parte di soldati e truppe mercenarie: per non essere saccheggiati, scavavano cavità dove mettere al riparo le scorte di cibo, il grano in primis, ma anche salumi e formaggi. Da qui la “scoperta” che le forme lasciate per mesi nelle fosse non solo si erano conservate, ma avevano sviluppato maggiore profumo e aroma, con conseguente utilizzo per la loro preservazione.

Alla scoperta del Formaggio di Fossa di Sogliano Dop
Se c’è un formaggio che può rappresentare al meglio questa categoria è senza dubbio il Formaggio di Fossa di Sogliano Dop, che ha conquistato il marchio di qualità europeo nel 2009. La sua zona d’elezione si colloca tra le province di Forlì-Cesena, Rimini, Ravenna, Pesaro-Urbino, Ancona, Macerata, Ascoli Piceno e parte di quella di Bologna. Il nome fa riferimento al piccolo comune di Sogliano al Rubicone, antico centro del governo dei Malatesta da Rimini, che dominavano tutto il territorio: è proprio la famiglia nobiliare, attorno al 1350, che norma per la prima volta le fosse in cui i coltivatori custodivano i propri generi alimentari e facevano maturare i formaggi, dando quelle caratteristiche che ancora adesso possiamo riscontrare e che sono descritte nel disciplinare

Che cos’è e come si produce?
La materia prima è il latte, ovino, pecorino o misto (c’è anche il caprino, ma non rientra nella Dop) proveniente da vacche e capre di razze selezionate come da regolamento, e può essere crudo o pastorizzato. La forma dopo la lavorazione è tondeggiante, tipica di una caciotta fresca che, in seguito, subisce una doppia stagionatura: la prima in luoghi conformi per un minimo di 60 giorni e un massimo di 240, mentre la seconda all’interno delle fosse, che vengono preparate per l’occasione dagli esperti affinatori.
Si pone alla base una tavola di legno, mentre le pareti sono steccate e foderate con uno strato di 10-15 cm di paglia, che serve a trattenere l’umidità eccessiva. I formaggi vengono impilati all’interno di un sacco di cotone o di tela che può contenere diverse forme, ben chiuso. A questo punto la fossa si sigilla con legno e gesso e non si entra più per almeno 90 giorni, così che avvenga la fermentazione, durante la quale il formaggio perde circa il 10% del suo peso e si priva del lattosio.

L’apertura della fossa è una grande festa: chiamata "sfossatura", la tradizione vuole che si compia il 25 novembre, giorno di Santa Caterina, con le forme che tornano a vedere la luce. In passato, questa data corrispondeva al momento in cui i contadini andavano in paese a ritirare i formaggi lasciati nelle fosse ad agosto e che avrebbero usato tutto l'inverno: a Sogliano, ogni anno dal 1974, le ultime due domeniche di novembre e la prima di dicembre, si svolge una fiera dedicata molto amata e sentita.
Com’è fatto il Formaggio di Fossa di Sogliano Dop?
A questo punto non ci resta che descriverlo nel suo risultato finale. Le forme hanno un peso variabile tra i 500 e i 1900 grammi, il colore esterno dal bianco-avorio al giallo ambrato, con la superficie, umida e grassa, senza crosta, che può presentare residui di muffe, da eliminare con facilità con una semplice raschiatura. La pasta interna è semi-dura, friabile, ricca di aromi che ricordano il sottobosco, con sentori di muffa e di tartufo: il sapore è più deciso nel pecorino di fossa, delicato in quello a latte vaccino, mentre il misto è piacevolmente amarognolo. Lo si gusta così com’è, accompagnato da marmellate e composte, ma si impiega anche come ingrediente, nei passatelli, in veste di fonduta, sciolto su crostini e per mantecare il risotto.