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8 Ottobre 2025 11:00

Che cos’è l’autosvezzamento: come funziona e le differenze con lo svezzamento tradizionale

L’autosvezzamento è un approccio che tiene conto delle capacità del bambino e lo mette al centro del momento del pasto. Ecco cosa vuol dire, quali sono i suoi potenziali benefici e perché non esiste un approccio migliore dell'altro.

A cura di Verdiana Ramina
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Ricordo bene la prima volta che mia figlia – ce n’è sempre uno, tra due gemelli, che stimola e guida l’altro – ha allungato la mano verso il mio piatto. Non aveva ancora iniziato “ufficialmente” il suo percorso di scoperta del cibo, eppure il suo sguardo diceva chiaramente che era pronta a voler assaggiare quel pranzo estivo che avevo preparato per me. Quel gesto, semplice e naturale, racchiude l’essenza dell’autosvezzamento, un approccio all’alimentazione che non parte da schemi rigidi ma dall’osservazione del bambino e dalla fiducia nelle sue capacità.

Come per lo svezzamento tradizionale (quello con le pappe, per capirci), l’autosvezzamento inizia di solito intorno ai 6 mesi, quando i piccoli sviluppano le competenze motorie e la curiosità necessarie per esplorare il cibo. È il momento in cui il latte, materno o formulato, smette di essere un alimento completo e non è più sufficiente a coprire i bisogni nutrizionali e relazionali del tuo bambino: adesso il cibo solido diventa non solo nutrimento ma anche scoperta, relazione e gioco.

Oggi ti spiegò che cosa si intende con autosvezzamento – o alimentazione complementare responsiva – quali sono le sue caratteristiche e quali le differenze principali con lo svezzamento tradizionale.

Che cos’è l’autosvezzamento?

L’autosvezzamento, o alimentazione complementare responsiva (ACRe), è un modo di introdurre i cibi solidi rispettoso dei tempi del bambino, in risposta ai suoi segnali di interesse e secondo consistenze e tagli ideali per permettergli di servirsi in autonomia, limitando, se si adottano le dovute accortezze, il rischio di soffocamento da cibo grazie ai principi dei tagli sicuri. Lo scopo dell’autosvezzamento, quindi, è quello di coinvolgere il bambino nei pasti della famiglia, lasciandolo assaggiare alimenti sicuri e adatti alla sua età.

La differenza sostanziale rispetto all’approccio classico con le pappe è che il piccolo non riceve “porzioni speciali” già pronte, ma partecipa al pasto condiviso, imparando a conoscere i sapori di casa, le consistenze (dapprima morbide e idonee a chi si trova alle prime esperienze) e gli aromi. Con l’autosvezzamento la tavola diventa, a maggior ragione, un luogo di apprendimento e relazione e non solo “il posto in cui si mangia”.

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Come funziona e come iniziare

Se immagini l’autosvezzamento come un “lasciare libero il bambino di fare quello che vuole”, rischi di fraintenderlo. In realtà è un percorso guidato dall’adulto, fatto di osservazione attenta e scelte consapevoli. E tutto parte dal tuo piatto: i bambini imparano imitando e quando vedono portare alla bocca un pezzo di pane o una forchettata di verdure, sono naturalmente spinti a replicare la gestualità. Questo apprendimento è un processo spontaneo che si perfeziona grazie all’evoluzione delle competenze motorie, con la crescita.

Differenze tra svezzamento e autosvezzamento

La cosa fondamentale da comprendere è che l’autosvezzamento nel concreto è un gesto quotidiano per cui non serve preparare pappe diverse, ma è sufficiente cucinare sano per tutta la famiglia. La ricerca supporta  questo approccio così moderno eppure così antico, precedente all’epoca degli omogeneizzati – alcuni studi suggeriscono potenziali benefici nell’autoregolazione e nello sviluppo di comportamenti alimentari sani.

Nello svezzamento tradizionale si parte da schemi precisi e si dà da mangiare al proprio bimbo, che resta un soggetto passivo e in qualche modo escluso dai sapori familiari (la crema di riso a pranzo, il passato di verdura a cena, un nuovo alimento ogni settimana). È un percorso ordinato, rassicurante per molti genitori, ma decisamente poco flessibile e che, in qualche modo, pone una distanza tra il piccolo e la tavola della famiglia.

L’autosvezzamento, invece, non ha tabelle da seguire: si fonda sull’idea che il nuovo arrivato sia pronto a sedersi con te e condividere lo stesso cibo, semplicemente adattato nella forma e consistenza alle sue capacità di manipolarlo.

Il risultato? Da un lato più naturalezza e meno ansia da schemi, dall’altro la necessità di fidarsi delle capacità del bambino, con il presupposto che occorre saper cucinare in modo sano per tutti. Non c’è quindi un approccio migliore di un altro in termini assoluti, ma un approccio migliore per la singola famiglia.

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Si può passare da svezzamento tradizionale all’autosvezzamento?

Molti genitori iniziano con lo svezzamento tradizionale fondato sulle pappe servite al cucchiaino, magari perché consigliati dal pediatra o perché vedono questo approccio come più rassicurante, per poi accorgersi che il loro bambino guarda con desiderio il loro cibo o quello dei fratelli più grandi. È lì che può nascere la transizione ed è lì che è anche suggerito (entro i compimento degli 8-10 mesi) che venga supportato questo desiderio di autonomia.

La cosa importante da tenere bene a mente è che non c’è nessuna rigidità: si può tranquillamente passare da un approccio all’altro, mescolando le modalità. Un cucchiaino di pappa oggi, un pezzetto di verdura morbida domani. La cosa importante è che il pasto non diventi una lotta, ma resti un momento sereno: e questo lo dico soprattutto a te, genitore, perché molti dei piccoli drammi attorno al tavolo da pranzo nascono perché le aspettative che l’adulto nutre nell’esperienza del pranzo sono francamente mal riposte.

Consigli ed errori da evitare

Ti vorrei adesso rassicurare su un fatto importantissimo: l’alimentazione complementare responsiva non è un lasciar fare senza regole, anche qui infatti la sicurezza è fondamentale. Alcuni alimenti sono rischiosi nei primi anni – come frutta secca intera, carote crude, popcorn –  e vanno o preparati con accuratezza, per esempio proponendo la frutta secca sotto forma di crema 100% frutta, grattugiando le carote o cuocendole per ammorbidirle. Infine ce ne sono altri che vanno decisamente evitati (caramelle di qualsiasi forma e dimensione).

Allo stesso tempo è bene non aggiungere sale e zuccheroai pasti condivisi, perché i bambini non ne hanno bisogno e rischieresti di assecondare la naturale propensione di tutti i bambini a ricercare alimenti troppo zuccherini ed eccessivamente lavorati.

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E vuoi sentire un errore comune? Forzare il bambino a mangiare, magari “perché deve sostituire la poppata del pranzo”. In realtà, il latte, durante l’intero processo dell’alimentazione complementare, resta l’alimento base della dieta dei più piccoli almeno per tutto il primo anno di vita. La capacità di autoregolazione di tuo figlio farà il resto: se oggi sbocconcella appena un pezzetto di stick di zucchine e domani mangia con maggiore appetito tutto quello che hai pensato per lui, va bene così: il percorso alla scoperta degli alimenti non deve necessariamente essere una linea retta.

Come genitori il nostro compito è offrire cibi sani e sicuri, ma anche lasciare ai piccoli la libertà di decidere se e quanto mangiare. L’autosvezzamento è quindi un atto di fiducia reciproca che, oltre a nutrire i nostri bambini, aiuta a costruire un rapporto positivo con il cibo per tutta la vita.

Verdiana, la Dietista delle famiglie

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Quello che i piatti non dicono
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