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2 Settembre 2021 15:00

Surimi: com’è fatto davvero e perché è meglio evitarlo

Spacciato come alimento esotico, il surimi industriale è un prodotto che è meglio evitare o da consumare con grande moderazione: a parte rarissime eccezioni, non ha molto in comune con il surimi giapponese tradizionale. Vi raccontiamo com'è fatto questo prodotto, come viene realizzato e quali sono i motivi per cui non andrebbe comprato.

A cura di Redazione Cucina
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Potrebbe sembrare un prodotto esotico a buon mercato, oppure un metodo per vendere gli scarti del pesce riducendo gli sprechi, ma non è così: parliamo di surimi, un prodotto legato alla tradizione giapponese dove si preparano piatti di pesce sminuzzato da sempre; quello che troviamo in commercio, però, non corrisponde esattamente alla preparazione tipica del Sol Levante, ma è un prodotto molto più scadente. Oggi vi raccontiamo cos'è il surimi, perché la produzione industriale restituisce un prodotto di scarsa qualità e perché sarebbe meglio evitarlo.

Surimi tradizionale versus surimi industriale

Come già detto esiste una preparazione usata da secoli in Giappone che corrisponde al nome di surimi. La parola, infatti, significa "pesce tritato" ed è così che i giapponesi lo fanno da secoli: sminuzzando i filetti di pesce dalla polpa bianca, sciacquandoli e condendoli con aromi, marinate e spezie. La polpa del filetto viene poi cotta al vapore sotto forma di pagnotta. Se quello tradizionale giapponese viene preparato, cucinato e mangiato sul posto, il surimi confezionato ha subito un lungo processo di lavorazione industriale.

Solitamente è commercializzato come prodotto a base di polpa di granchio ma di questo ingrediente ci sono solo poche (o nulle) tracce. L'aspetto e l'odore ricordano quello del granchio, ma sono riprodotti con aromi artificiali: non si sa bene, ad esempio, quale sia la varietà di pesce in esso contenuta, dato che si può spaziare dalle carpe asiatiche ai suri, passando per gli sgombri. Non esistono infatti obblighi di legge relativi all’indicazione in etichetta delle specie ittiche utilizzate.

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Perché evitare il surimi

Chiarito l'aspetto della materia prima, è importante analizzare cosa c'è nel surimi oltre ai non ben precisati "scarti" di pesce. Il surimi, infatti, può contenere:

  • sale, zuccheri e polifosfati per aumentare il suo sapore che, una volta prodotto, è praticamente neutro;
  • sostanze chimiche usate per la preparazione e la pressatura dei panetti;
  • coloranti utilizzati ottenere le tipiche tonalità arancioni tipiche delle parti più esterne;
  • altri ingredienti aggiuntivi impiegati per migliorarne consistenza e conservazione, come fecola di patate, grassi vegetali, albume, aromi artificiali di aragosta e, naturalmente, glutammato monosodico;
  • anche gli oli vegetali usati sono prodotti di scarsa qualità: l’olio di colza e l’olio di palma in primis.

Dal momento che anche l'etichetta è vaga e non restituisce informazioni utili, all'interno di questo misterioso prodotto potrebbero esserci anche altre sostanze come quantità eccessive di sodio, conservanti vietati per legge, metalli e pesticidi. 

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Quello che i piatti non dicono
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