;)
In Abruzzo c’è una parola che da sola racconta i concetti di abbondanza, memoria, comunità: Panarda. Più che una cena, è un rito: si tratta di un banchetto monumentale che attraversa secoli, stagioni e significati, legando voti religiosi, identità locali e puro spirito conviviale. Da Villavallelonga a Lanciano, da Luco dei Marsi a Sulmona, ogni paese la declina a modo suo, ma con un elemento in comune: la tavola è lunga, ricca e per tutti.
Villavallelonga: la Panarda più antica e invernale
Nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Villavallelonga custodisce la Panarda più antica, documentata almeno dal 1657. Ogni notte tra il 16 e il 17 gennaio, in occasione della festa di Sant’Antonio Abate, circa 90 famiglie aprono le porte delle loro case per accogliere amici, parenti e devoti in una cena che può arrivare fino a 30 o più portate, servite una dopo l’altra fino all’alba. Il pasto è parte di un voto collettivo e si alterna con canti popolari dedicati al Santo. Il giorno dopo, si distribuiscono in piazza fave condite e pane benedetto. Qui la Panarda non è folclore: è un atto sacro, comunitario, condiviso.
Le Panarde estive: Luco, Sulmona, Roccadibotte, Lanciano
Se quella di Villavallelonga è legata al sacro, altre Panarde si svolgono in estate e hanno oggi una funzione rievocativa o identitaria, per ricordare la tradizione e rafforzare il senso di appartenenza locale.
Luco dei Marsi
A fine luglio o inizio agosto, Luco rievoca la Panarda come banchetto comunitario: le famiglie preparano piatti tradizionali che vengono condivisi tra i vicoli del paese. È un momento di orgoglio e memoria collettiva.
Sulmona
In alcune contrade della città, soprattutto nell’ambito delle manifestazioni collegate alla Giostra Cavalleresca, si ripropongono Panarde in chiave storica: grandi tavolate, vestiti d’epoca, e piatti della tradizione come la pecora alla callara, la pasta alla mugnaia, le ferratelle.
Roccadibotte
Anche qui, a cavallo di agosto, si organizza una Panarda come occasione conviviale e culturale. È un modo per riunire residenti e turisti, mantenendo viva la cucina tipica e lo spirito del dono.
Lanciano
Nel quartiere storico di Civitanova, la Panarda estiva è diventata un momento di rievocazione storica. Tavole imbandite all’aperto, piatti serviti in sequenza, musica popolare e costumi d’epoca. Il tutto per rinnovare una tradizione antica che, pur trasformata, mantiene lo spirito originario: accogliere, condividere, celebrare.

Cosa si mangia in una Panarda
Il cuore della Panarda, che sia religiosa o rievocativa, resta la tavola: ma ciò che arriva nei piatti varia a seconda del periodo, del contesto e del paese. Le differenze tra la Panarda invernale e quelle estive raccontano due anime complementari: da un lato il rito, dall’altro la festa.
Nella Panarda invernale di Villavallelonga, la cucina è essenziale e profondamente legata alla terra e al voto. Si comincia spesso con un brodo caldo, preparato con gallina o vitello, che apre lo stomaco e prepara al resto del pasto. Seguono pasta fatta in casa, come i “maccheroni di Sant’Antonio” (una sorta di pasta alla chitarra condita con ragù di pecora), pecora alla cottora cotta a lungo e lentamente, fave lessate condite con olio, aglio e peperoncino, e poi frittelle di pasta lievitata, panetta (pane rustico impastato con uova e strutto), e dolci semplici come le ferratelle. La sequenza è abbondante ma austera, scandita da pause di preghiera, canti popolari e dalla ritualità dell’attesa. Ogni piatto ha un peso simbolico oltre che nutrizionale: è nutrimento del corpo e, insieme, della comunità.
Le Panarde estive, invece, puntano sull’esuberanza e sulla varietà. Qui non c’è voto da sciogliere, ma memoria da celebrare. Le tavole si arricchiscono di timballi sontuosi, pasta alla mugnaia o alla chitarra con sughi di carne, ventricina piccante, arrosti misti, peperoni ripieni, melanzane alla parmigiana, verdure dell’orto, formaggi stagionati e pane casereccio. A completare il banchetto ci sono i dolci tipici locali: dalle ferratelle ai bocconotti, magari serviti con un bicchiere di centerbe o liquore artigianale. In alcuni casi, il numero di portate può superare le 40, e la sfida – bonaria – è arrivare fino in fondo senza abbandonare la tavola.