
Sono passati pochi giorni dall'entrata in lista della cucina italiana come Patrimonio immateriale dell'Unesco: c'è chi ancora, giustamente, festeggia e chi invece ha avuto qualcosa da ridire, come in parte ci aspettavamo. Portavoce di una delle critiche più discusse nelle ultime ore è il quotidiano Dolomiten che ha affermato che "i canederli non sono italiani" e quindi non possono essere inseriti fra i piatti simbolo del nostro Paese. Questo riconoscimento, però, non riguarda le ricette in senso stretto e la questione, forse, non ha tanto motivo di esistere o è stata volutamente fraintesa.
I canederli della discordia
È di qualche giorno fa l'affermazione del Dolomiten, quotidiano in lingua tedesca dell'Alto Adige, secondo cui i canederli – gnocchi di pane con lo speck tipici della tradizione contadina del Trentino Alto-Adige – non sarebbero italiani. A pochi giorni dal riconoscimento della nostra cucina come Patrimonio immateriale dell'Unesco, questa affermazione assume una presa di posizione abbastanza netta, negando che questo piatto – tra l'altro preparato e consumato all'interno dei confini italiani – possa rientrare in un patrimonio dell'umanità.
Viene quasi da storcere un po' il naso, come se un riconoscimento da parte dell'Unesco fosse un male da cui difendersi o una colpa di cui giustificarsi. La questione però non appartiene solo alla cucina, ma sottende la difesa di un sentimento identitario della comunità che rivendica l'appartenenza dei canederli alla pura tradizione mitteleuropea. Il quotidiano ha citato anche altri piatti come schlutzkrapfen, käsenocken e tirtlan – diffusi e apprezzati in Italia – definendoli ugualmente piatti non italiani.

Che cosa è stato davvero riconosciuto come Patrimonio dell'umanità?
"Adesso, improvvisamente, i canederli sono diventati bene culturale italiano": così ha ironizzato il Dolomiten. Beh, sì ma anche no. Perché a essere entrati nella lista Unesco non sono i piatti e, forse, non tutti lo hanno capito. Il riconoscimento non è una celebrazione delle nostre ricette, ma della cucina intesa come un insieme di pratiche, simboli e relazioni legate al cibo. Il dossier approvato dall'Unesco riconosce la cucina italiana come "veicolo di cultura" e come un insieme di saperi "non solo culinari, ma anche conviviali e sociali": a farne parte quindi sono il sentimento degli italiani verso la cucina, dell'onnipresenza di essa all'interno delle nostre vite. È la celebrazione di una cucina che per sua stessa natura non è nazionale, ma è il risultato di un unione delle diverse cucine regionali. È l'esaltazione delle tradizioni tramandate di generazione in generazione, di un sapere condiviso, di ricette mai uniche e uguali a se stesse, che si mischiano, si evolvono ma restano sempre fedeli a quel sentimento che appartiene, quando si parla di cucina, a tutti noi italiani.

È quanto affermato anche da Massimo Montanari – presidente del comitato scientifico promotore della candidatura – che, in un'intervista a La Cucina Italiana ha dato una spiegazione più che sufficiente alla domanda "Cosa abbiamo candidato?" rispondendo: "Non i prodotti, non le ricette ma il sentimento della cucina che accomuna tutti gli italiani. La loro confidenza con il gesto della cucina, che ha per gli italiani un fortissimo valore identitario. Attraverso la cucina gli italiani rappresentano e raccontano se stessi e la loro storia. Neppure vogliamo sottolineare le eccellenze, i cibi speciali, la cucina delle feste: ciò che ci interessa rimarcare è la cucina italiana nella sua normalità quotidiana, nel rapporto di tutti i giorni che tutti gli italiani hanno con lei. La ‘confidenza‘, appunto. La cucina come amica". Possiamo quindi dire che il riconoscimento parla di sentimenti, di cultura, di appartenenza, di mescolanze, di condivisione e di amore e, per ultimo, di cibo. E non è un voler affermare la nostra superiorità culinaria – come spiegato da Pier Luigi Petrillo, esperto di diritto ambientale e culturale e coordinatore del dossier della candidatura – ma sottolineare la sua capacità di assorbire influenze esterne, di modificarle, adattarle e renderle proprie.