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2 Ottobre 2025 18:00

Con dei batteri dimenticati per 130 anni, gli studiosi hanno “scoperto” la storia del burro

Scoperti in Danimarca flaconcini con batteri di 130 anni fa usati per il burro: raccontano l’evoluzione casearia tra progresso, contaminazioni e nascita della biotecnologia.

A cura di Enrico Esente
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Foto da: International Dairy Journal

Quante volte, rovistando tra le vecchie cianfrusaglie, hai trovato qualcosa che potesse custodire un valore e un pezzo di storia? Anche in Danimarca è successa una cosa "più o meno" simile. Nel seminterrato di un edificio a Frederiksberg, alcuni ricercatori hanno rinvenuto due bottigliette dimenticate per oltre un secolo. All'interno era conservata una polvere biancastra con dei resti di colture batteriche risalenti alla fine dell'Ottocento. Si è scoperto che quei batteri venivano utilizzati allora per produrre il burro destinato all'esportazione. Una scoperta che sembra uscita da un romanzo, ma che in realtà ci racconta l’evoluzione della produzione alimentare europea e il ruolo cruciale dei microbi nella nostra storia.

Cosa racconta lo studio

I risultati della ricerca sono stati pubblicati sull'International Dairy Journal con il nome di "Metagenomic analysis of 130 years old Danish starter culture material". Gli scienziati spiegano di aver applicato tecniche di metagenomica, cioè sequenziamento del Dna residuo, per ricostruire la composizione microbica originaria del burro. Con questo sistema hanno potuto identificare quali batteri fossero stati usati per avviare la fermentazione del latte e quali contaminazioni, internazionali o meno, fossero presenti nei flaconcini. I risultati sono stati incredibilmente sorprendenti. Tra le specie individuate spicca il Lactococcus cremoris, ossia un microrganismo che ancora oggi viene usato nella produzione casearia moderna per acidificare il latte e uccidere i batteri pericolosi dopo la pastorizzazione.

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La presenza di questo batterio ci conferma come già alla fine dell'Ottocento l'industria danese avesse intrapreso la strada della standardizzazione, puntando su colture più controllate e ridurre i rischi legati a fermentazioni spontanee. In quegli anni la Danimarca iniziò a esportare burro in Inghilterra su larga scala e, per garantirne la sicurezza, il latte veniva prima pastorizzato e poi "arricchito" con batteri chiamati "colture starter". Questi fungevano da conservante e, con la fermentazione, aggiungevano proprietà come acidità, aroma, sapore e consistenza.

I risultati delle i analisi non raccontano però solo una storia di progresso. Con la ricerca si è potuto risalire anche ad altri tipi di batteri, meno graditi: Cutibacterium acnes, tipico della pelle umana; Staphylococcus aureus, potenzialmente patogeno; Vibrio furnissii, legato a disturbi intestinali. Insomma questi ospiti indesiderati riflettono le condizioni igieniche di allora molto scarse e lontane dagli standard moderni.

Una ricerca con dei "limiti"

Nonostante sia una scoperta che ha un certo fascino storico poiché, negli ultimi decenni dell'Ottocento, la Danimarca stava trasformando il settore lattiero-caseario, non tutto è rose e fiori. Lo studio presenta dei limiti: non si può certamente stabilire con certezza se i batteri ritrovati in quelle bottiglie fossero ancora vitali. Dopo oltre un secolo, parte del Dna si è inevitabilmente degradata e non è escluso che alcune specie siano andate perdute. Eppure, il fatto stesso che sia stato possibile recuperare e analizzare sequenze genetiche tanto antiche dimostra quanto i microrganismi possano conservare memoria nel tempo, a patto che le condizioni di conservazione siano favorevoli.

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Nonostante ciò si è potuto capire come stessero iniziando a diffondersi, durante quegli anni, tecniche come la pastorizzazione. Le colture batteriche che diventavano uno strumento essenziale per garantire la qualità del burro danese. Quei due flaconcini dimenticati in cantina sono dunque testimoni silenziosi di una rivoluzione industriale e alimentare che ha gettato le basi per la moderna biotecnologia. Oggi quelle colture  non servono più a produrre burro, ma ci aiutano a capire come il cibo che portiamo in tavola sia il frutto di secoli di sperimentazioni e di battaglie invisibili tra microrganismi. E, chissà, forse ci ricordano che la scienza può nascere anche da ciò che sembrava ormai destinato all’oblio.

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