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7 Settembre 2025 13:00

Come riconoscere il tartufo fresco: l’analisi sensoriale che ti aiuta nella scelta

Acquistare un tartufo richiede una certa attenzione, in quanto si tratta di un prodotto costoso che va consumato nel giro di pochissimi giorni dalla cavatura, pena la perdita delle sue caratteristiche. Capire che è fresco non è facile, ma facendo funzionare vista, tatto e olfatto è possibile ricavare degli indizi preziosi anche per chi è alle prime armi.

A cura di Federica Palladini
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Tra le specialità più rinomate della nostra gastronomia un posto d’onore lo occupa senza dubbio il tartufo: un fungo che cresce sotto terra – detto perciò ipogeo – che vive in simbiosi con le radici di alcuni alberi, come querce, pioppi, castagni, noccioli a seconda del territorio. In Italia se ne contano diverse varietà commestibili distribuite in quasi tutte le regioni, con caratteristiche peculiari che le contraddistinguono l’una dall’altra: a spiccare per il loro valore sono il Tuber Magnatum Pico, il tartufo bianco (famosi quelli di Alba e di Acqualagna) e il Tuber melanosporum, ovvero il tartufo nero pregiato. Ne basta pochissimo, lamellato o grattugiato, per dare un sapore e un aroma distintivo a risotti, pastasciutte, uova e crostini, portando in tavola ricette raffinate: d’altronde i costi sono elevati e quando si ha la possibilità di comprare un tartufo fresco – da consumare nel giro di pochi giorni per godere pienamente delle sue proprietà organolettiche – è difficile capire se si ha davanti un prodotto di qualità. Purtroppo, per riconoscerlo serve molta esperienza e il modo migliore per tornare a casa con un tartufo sopraffino è quello di affidarsi a rivenditori garantiti. Nonostante questo, mettere in funzione i propri sensi può orientare anche chi è alle prime armi, così da arrivare preparati al momento dell’acquisto. In che modo? Vista, tatto e olfatto diventano gli strumenti per valutare la freschezza di un tartufo, notando la brillantezza del colore, l’integrità della superficie, la consistenza soda e compatta e l’intensità del profumo. Di seguito, ecco a cosa fare attenzione.

Esame visivo

Diciamo subito che a seconda delle varietà i tartufi hanno forme differenti, solitamente più arrotondate nei tartufi bianchi e maggiormente irregolari in quelli neri: sotto questo aspetto non ne esiste uno migliore di un altro. Le dimensioni contano? Sì, ma fino a un certo punto: a livello economico ed estetico un tartufo grande tende ad avere più valore, ma non è sinonimo di freschezza e, di conseguenza, di bontà. In termini puramente pratici, un tartufo grosso e globoso può essere più facile da maneggiare quando si pulisce e si affetta, ma non è detto che sia eccellente. Quindi, quali dettagli osservare davvero?

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Colore

La parte esterna del tartufo, la sua "scorza" che sembra una corteccia si chiama peridio e l’analisi visiva non può che partire da qui. Il colore varia a seconda della tipologia di tartufo, con quello bianco che lo vuole chiaro, con tonalità che spaziano dal giallo-ocra al verdognolo, mentre in quello nero è scuro. In entrambi i casi, però, deve essere brillante e mai opaco, sintomo di un tartufo vecchio o conservato male.

Superficie

Tendenzialmente liscia nei tartufi bianchi e rugosa in quelli neri, la superficie è preferibile che sia integra, priva di spaccature o di graffi: questo in particolare è importante perché è indice di una cavatura (quando si porta alla luce il tartufo) fatta con la maggior cura possibile e comporta un mantenimento più lungo del fungo, in quanto l’interno è protetto.

Gleba

Si tratta della parte interna del tartufo che contiene le spore. Anch’essa nasconde indizi fondamentali per capire se siamo di fronte a un tartufo fresco, ma la sua ispezione può avvenire solo tra le mura domestiche. Una polpa marmorizzata, senza macchie, è indice di una giusta maturazione.

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Esame tattile

Guardare e non toccare? Spesso, succede proprio così, per ovviare a possibili danni al prodotto. Se il venditore ti permette di tastare il tartufo, allora fai caso alla sua consistenza: deve essere soda, compatta, ma non dura come la pietra o sei davanti a un tartufo passato. Un esemplare non più buono perché probabilmente ha iniziato a marcire, invece, si presenta molle e spugnoso, mentre dovrebbe fare una certa resistenza quando premuto con delicatezza.

Esame olfattivo

L’olfatto è probabilmente l’alleato più valido, nonostante debba essere allenato a distinguere i tratti caratteristici delle diverse tipologie. Come regola generale, il profumo è intenso e ben distinguibile: se affievolito significa che il tartufo potrebbe essere stato raccolto troppo tempo prima. In linea di massima, nel tartufo bianco si riconoscono sentori di aglio, funghi e miele, mentre nel nero prevalgono note terrose di sottobosco: se percepisci un odore di gas, stile metano, è perfettamente normale: anzi, è una sfumatura tipica, tanto che i detrattori dicono che il tartufo “puzza”. Quello che non va bene, invece, è un tartufo inodore o, al contrario, che sa di ammoniaca e fermentazioni acide, segno di deperimento.

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