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31 Maggio 2020 15:00

Arriva il Prosecco Doc Rosé, tra polemiche e opportunità di mercato

Il vino simbolo del Veneto e del Friuli Venezia-Giulia cambia il proprio disciplinare e si apre al mercato del rosato. La scelta, nell'aria da un paio d'anni, ha creato dissapori tra i puristi. Dalla prossima vendemmia potremmo avere uno spumante rosato con uva di Glera e Pinot nero. Proprio questa scelta ha creato problemi: i viticoltori avrebbero preferito un vitigno autoctono.

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Dalla prossima vendemmia potrebbe arrivare il Prosecco Rosé, una variante delle celebri bollicine prodotte in Veneto e Friuli Venezia-Giulia. La decisione è stata approvata dal Comitato Nazionale Vini, una costola del Ministero delle politiche agricole, che ha modificato il disciplinare di produzione del Prosecco Doc, introducendo la variante rosata. Il condizionale è d’obbligo perché per passare alla fase produttiva occorre la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, ma ci sono diversi pareri contrastanti.

Le polemiche sul Prosecco rosato

Per i puristi di questo vino bianco la decisione è inaccettabile. Il colore rosa si otterrebbe grazie all’aggiunta di Pinot nero che andrebbe a pigmentare la Glera, l’uva che per disciplinare deve comporre il prosecco per almeno l’85% del prodotto.

Come lascia intendere il governatore Zaia sul proprio profilo Instagram, la scelta di ufficializzare il rosato potrebbe essere squisitamente commerciale: "Il Prosecco rosé era una realtà per gli amanti del buon bere, basta pensare che in un recente sondaggio condotto negli Stati Uniti l’84% degli intervistati dicono di conoscerlo, oggi questa realtà può vantare anche il riconoscimento ufficiale. Abbiamo aggiunto una nuova gemma a quel diadema di 500 milioni di bottiglie all’anno che è il mondo del Prosecco". Il prosecco rosato è infatti prodotto nell’area del Prosecco Doc già da diversi anni.

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La stessa soddisfazione è stata espressa anche da Stefano Zanette, Presidente del Consorzio di Tutela Prosecco Doc, contento del controllo qualità che adesso potrà essere attuato e degli sviluppi commerciali che il vino rosato può portare a tutto il comparto vitivinicolo italiano.

Una delle polemiche che stanno facendo i produttori è proprio la scelta che ha portato al Pinot nero, un vitigno internazionale e non il Raboso, una vite autoctona veneta che avrebbe ottenuto gli stessi risultati. C’è da dire comunque che il Pinot nero è presente in Veneto e Friuli già dalla metà dell’800 e la produzione in quelle zone è di altissima qualità.

Ai microfoni di Repubblica non è stata esclusa completamente la possibilità di puntare sul Raboso: "La scelta del Pinot nero è dovuta alla praticità" dice Luca Giavi, direttore generale del Consorzio di Tutela del Prosecco Doc, “perché la maggior parte dei nostri consorziati già lo coltiva. Sono allo studio le caratteristiche del Raboso come vitigno a bacca rossa da inserire nel nuovo disciplinare ma inserendolo fin da subito avremmo solo discriminato i produttori privi di questa uva”.

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La scelta di regolamentare questa nuova tipologia di vino è dettata dall’esigenza di individuare delle leve per differenziare il Prosecco Doc dal mare di bollicine che popola il mercato. Negli Stati Uniti, il mercato di riferimento di questa etichetta, il vino rosato sta vivendo un momento magico: negli ultimi 4 anni il fatturato dei rosé è passato dai 118 milioni di dollari l’anno ai 500 milioni con un ritmo di crescita annuo del 43%.

La scelta era nell'aria

Si va verso l'ufficialità dunque, ma la scelta di aprirsi al mondo del rosato era nell'aria. Già al Vinitaly 2018 Stefano Zanette dichiarò di valutare la revisione del disciplinare sfruttando l'attuale base ampelografica con il Pinot nero; cosa che è effettivamente successa. Anche due anni fa ci fu a riguardo un'aspra polemica tra il Consorzio e Slow Food, con l'associazione presieduta da Caro Petrini che criticò l'ipotesi Pinot suggerendo in primis il Raboso, vigneto tutt'oggi al vaglio degli enologi.

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Si legge infatti che "un’eventuale scelta in questo senso comporterebbe un effetto collaterale fondamentale. Finalmente le Docg avrebbero modo di staccarsi definitivamente da quella parola (Prosecco) che è ormai sempre più genericamente sinonimo di spumante, indicando con piena dignità e soprattutto potenzialità nuove, la propria specificità, determinata dalla endiadi territorio collinare/uva glera e autoctoni bianchi del Trevigiano". La logica del mercato impone questa scelta al Consorzio  di Tutela del Prosecco Doc, per i risultati bisognerà attendere la reazione dei consumatori e l'analisi della qualità effettiva del vino.

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